Reviewed by Claudio Camacho Rodríguez, Universidad Nacional Autónoma de México (claudius_lat@hotmail.com)
Emanuele Berti, che negli ultimi anni si è concentrato sui temi di retorica imperiale, ci offre un commento a una raccolta di quattro lettere di Seneca, (Ep. 114; 40; 100; 84) nelle quali si osservano le riflessioni del filosofo su temi di teoria retorica, stilistica e letteraria. Fin dalla selezione delle lettere commentate si avverte che l'opera prosegue una linea di studio aperta agli inizi del secolo scorso da studiosi come Merchant1 e approfondita negli anni successivi da diversi specialisti, fra cui Setaioli,2 linea che intende rivalorizzare gli elementi di una teoria stilistica in Seneca. Il lavoro esordisce con una premessa (7-11), suddivisa in due sezioni. Segue una nota al testo (13-15) in cui l'autore riassume lo stato della tradizione manoscritta delle epistole e riporta i sigla codicum. Berti segue il testo latino e l'apparato critico di Reynolds (1965) arricchendolo di varie congetture. Alla fine, il volume riporta l'elenco delle varianti rispetto al testo di Reynolds. Nella parte centrale del lavoro, Berti suddivide le quattro epistole in tre nuclei tematici: I Seneca e la corrupta eloquentia: l' epist. 114 (17-209); II Seneca e lo stile filosofico: le epist. 40 e 100 (211-380) e III Seneca e l'imitazione: l'epist. 84 (381-478); ogni nucleo contiene un'introduzione seguita dal testo latino di ciascuna delle epistole, da una traduzione in italiano e dal rispettivo commento. Alla fine di ciascuna introduzione c'è una nota bibliografica. Il volume si conclude con la bibliografia e gli indici (Luoghi citati (511-531), Indice delle parole (533-539) e Indice dei nomi e delle cose notevoli (541-546)). Lasciando da parte l'analisi complessiva, che sarà oggetto del commento, nell'introduzione ai singoli capitoli Berti espone in modo generale le problematiche delle lettere sulla base della teoria antica che connette con finezza ai presupposti teorici di Seneca e alla sua idea filosofica (non tratta problemi relativi alla struttura, ecc.; presenta solamente un breve sommario della lunga epistola 114). Di seguito, riporto alcune note divise in sezioni che mettono in luce la qualità del commento di Berti e le caratteristiche del commento stesso. Il commento ai problemi testuali è esaustivo nella sua selettività, con una discussione delle lezioni e congetture con attenzione a quattro passi in cui Reynolds appone le croci ((243) 40. 2 non effundit †ima† e (285) 40. 10 dic, †numquam dicas†?). Si veda in particolare (61) 114. 2 uniuscuiusque actio †dicendi† [Bφ: dicenti ψς] In questo caso, Berti ritiene che nessuna delle congetture proposte dai vari studiosi chiarisca il problematico dicendi. Una possibile soluzione dovrebbe essere ricercata partendo dal senso di actio, che, a parere di Berti, andrebbe inteso qui come "modo di agire" e non come "modo di porgere dell'oratore," come lo interpreta J. Pigeaud;3 la comparazione servirebbe ad evitare un'applicazione dell'equazione oratio = vita (postulata dal proverbio greco citato da Seneca nell'ultima parte del paragrafo precedente: talis hominibus fuit oratio qualis vita) limitata alla collettività. Al contrario, tale equivalenza si applica tanto a ogni individuo (unuscuiusque), come all'intera società (publicos mores). Berti per tal motivo suggerisce, come possibilità, che al posto di dicendi si potrebbe leggere dictis oppure dictioni (dictio, inteso come genus dicendi, cfr. ThlL 5. 1. 1007. 15) o con Alexander (AJPh 60 (1939) 470-472, a 472), che propone actio[ni ratio] dicendi o Russell (apud Reynolds) che inserisce dicendi <generi>) si potrebbe ipotizzare che parte del testo è caduto. Così, anche se pone le cruces, traduce: "D'altra parte, come il modo di fare di ciascuno è simile al suo modo di parlare." Il testo stampato da Berti si allontana da Reynolds in 7 punti. Berti recupera lezioni tràdite considerate corrotte dall'editore. (448-449) 84. 8 ex quo velut exemplari [ex quo velut exemplaria Qγδ] Berti, accogliendo la correzione exemplari presente nei recentiores, difende con buoni argomenti velut del textus traditus (sull'uso diexemplar con paralleli in Hor. Ep. 1. 19. 17; Sen. Ep. 33. 3; Ep. 58 e 65, e, per l'uso "enfatico" di uelut, Ben. 5. 6. 5 e Cl. 1. 6. 1) contro la congettura voluit proposta da Rubenius (apud Gronovius) e seguita da Schweighaeuser e Reynolds (proposta indipendente da Summers CQ 3 (1909), 40-43, 180-188, a 180) e ex quo velit di Kroneberg (CQ 1 (1907), 205-215, a 207). (438-439) 84. 7 alioquin [Qb: alioqui VP] Berti presenta una difesa convincente del textus traditus di Qb con rimandi ai diversi paralleli senecani. (238) 40. 1 desiderium absentiae [absentiae pαγ] Reynolds, seguendo Gemoll (apud Reynolds), elimina dal testo absentiae, genitivo che dipende da desiderium, considerandola una glossa inserita nel testo. Berti, invece, come anticipa in MD 73 (2014) 157-164, a 158, n. 2, preferisce mantenere "il nesso pleonastico" sulla base di un testo parallelo che presuppone sicuramente il passo senecano (Hier. epist. 60. 7 desiderium absentiae eius ferre non possumus) e la proposta di Castiglioni (RFIC 52 (1924), 350-382, a 374) che suggerisce abstractum pro concreto, utilizzato per ragioni di variatio (desiderium [amici] absentis; richiamando come possibile parallelo a Sen. Contr. 10. 1. 8). (353-354) 100. 8 non habet … debet dignitatem [Bφψ: dabit dignitatem Lipsius] Reynolds stampa la congettura di Lipsius; Berti invece difende con buoni argomenti e richiamo a diversi testi senecani il testo tràdito. Un'attenzione particolare merita il difficile passo che Berti analizza minuziosamente (96-97) 114. 6 in mimo fugitivi divites solent [Bψ: divites fugitivi φ]. Reynolds, conservando l'ordo verborum di B, accoglie la congettura di Lipsius fugitivi divitis, Berti al contrario difende il testo di B sulla base degli ottimi argomenti di Müller e Mazzoli.4 In tre passi, accoglie congetture che vengono discusse in maniera ottimale. (122-123) 114. 10 modo <nova> fingit et ignota ac deflectit [Rossbach: modo fingit et ignota ac deflectit Bφψ] La difficoltà principale consiste nel senso irrelato di et. Il testo tràdito è considerato irrimediabilmente corrotto da Reynolds; Berti invece presenta buoni argomenti a favore dell'integrazione nova di Rossbach.5 (279-281) 40. 9 ut P. Vinicius dicere †qui itaque† [ut P. Vinicius dicere Madvig: vel P. Vinicium dicere qui itaque pαγ] Berti, nel suo commento, tratta il passo in due sezioni separate, introdotte dai lemmi ut P. Vicinus dicere e †qui itaque†. La lezione tràdita è ritenuta corrotta da Reynolds (et alii); Berti, invece, accoglie il testo suggerito da Madvig6 e appone unicamente fracruces qui itaque; la lezione è conservata da molti editori (altri intervengono, p. es. Gummere: qui titubat), ma scartata da Berti sulla base dell' usus scribendi senecano e del fatto che "la formula non risulta altrimenti attestata in latino". La congettura si adatta meglio all'ipotesi esplicativa suggerita per qui itaque; Berti ipotizza che "dietro queste parole si celi un secondo termine di comparazione", cioè il nome dell'oratore Q. Aterio che appare corrotto nel seguente paragrafo, ma restituito da Lipisus (cfr. (285) 40. 10 nam Q. Heteri), la cui congettura è seguita da altri editori. Il testo si dovrebbe leggere quam ut Q. <Haterius>. Ad ogni modo, si tratta di un passo complesso che continua a rimanere oscuro. Il commento presenta una particolare attenzione all'esame della terminologia retorica utilizzata da Seneca, messa a confronto con i principi teorici degli studiosi greci e latini ((276-277) 40. 8: adfectus impotens sui; (342) 100. 6 ex horrido; (453) 84. 9: acuta…gravis…media), p. es. la nota (56-57) 114. 1: in quibus…audiendum, in questo caso ritiene che la formulazione corrisponda al termine βραχύτης, la cui definizione è data da Trifone (Trop. ed. Spengel, Rhet. III p. 202: βραχύτης ἐστὶ φράσις πλέον τι τοῦ ἀκουμένου νοούμενον ἔχουσα) L'originalità del pensiero di Seneca rispetto alle teorie stilistiche e retoriche, e anche il suo debito rispetto alla tradizione è ben illustrato nel commento, p. es.: (332-333) 100. 5 contra naturam suam La communis opinio ritiene che in questa formulazione, riferita allo stile di Fabiano, ci sia un'allusione alla teoria stoica del sermo naturalis, "un linguaggio conforme alle leggi di natura"; Berti, invece, seguendo Garbarino,7 ritiene che qui l'espressione si ricolleghi alla natura verborum (cfr. Orat. 115; 162; Quint. Inst. 9. 3. 7), cioè il significato naturale delle parole. Berti mostra e analizza efficacemente gli aspetti fondamentali dalla prosa di Seneca, come le metafore (p. es. (186) 114. 23: rex noster est animus); i neologismi (p. es. (197) 114. 25: sumministrator … testisque; (301) 40. 14: tardilocum; (339) 100. 6: concisura; (424) 84. 4: conditura); le iuncturae coniate da Seneca (p. es. (251) 40. 3: nec extendat aures nec obruat) e le citazioni poetiche (p. es. (419) 40. 3: liquentia mella…cellas). Nel commento si discute altresì la struttura stilistica e retorica della frase adoperata da Seneca (p. es. (75) 114. 4: notius est quam … ut debeat; (262ss.) 40. 5: lenienda … fallunt; (327 ss.) 100. 4: et scio promittere). Anche le interpretazioni e l'analisi degli aspetti filosofici presentano ricche discussioni, p. es.: (187-188) 114. 23 artes… conatus est Berti afferma che in questa espressione c'è un possibile riferimento ai concetti stoici di τόνος e ἀτονία basando la sua affermazione su un frammento di Crisippo (SVF III 473) in cui il filosofo greco riconosce l'esistenza di una facoltà negli animi degli uomini responsabile delle passioni. (237-238) 40. 1 imagines… amicorum absentium "Se ci riescono gradite le immagini degli amici lontani:" contro la tradizione che ha interpretato imagines come "ritratti" (p. es. Gummere e Noblot), come già anticipato in MD 73 (2014) 157-164, a p. 154, Berti ritiene che il termine si deve intendere nel senso di φαντασίαι (oppure φαντάσματα) "rappresentazioni mentali di un oggetto o persona presente", con richiamo a Quint. Inst. 6. 2. 29 e Sen. fr. 93-94 = Vottero p. 59). Le discussioni che Berti dedica alle citazioni dei frammenti di Mecenate ((85-92) 114. 5), come già anticipato in Prometheus 40 (2014) 224-240), e Sallustio ((162-174) 114. 17-19) sono particolarmente ricche e interessanti. Nel commento non ci sono, a mio avviso, errori di stampa; la bibliografia è ampia e aggiornata, soltanto aggiungerei due studi monografici e un articolo che mi sembrano rilevanti: Fisck, G. C. (1920), Lucilius and Horace, a Study in the Classical Teory of Imitation; Timpanaro, S. (1994), "Sulla tipologia delle citazioni poetiche in Seneca," in S. Timpanaro, Nuovi contributi di filologia e storia della lingua latina, Pátron Editore, pp. 299-316 e Sklenář, R. J. (2017), "Plant of a Strange Vine:" Oratio Corrupta and the Poetics of Senecan Tragedy, Berlin/Boston, De Gruyter, 2017, il cui primo capitolo (Letter 114 and the Poetics of Decadence), riguarda per interno l'epistola 114 (probabilmente Berti non ha potuto consultare questa monografia pubblicata quando il suo commento era già in stampa). Per concludere, il commento di Berti è un ottimo contributo alla comprensione degli aspetti fondamentali del pensiero senecano e dello stile dell'autore, espone dettagliatamente l'ampio contenuto teorico presente in ogni lettera e illustra i contributi teorici di Seneca nella materia in un modo chiaro e dettagliato; chiunque sia interessato tanto all'opera di Seneca quanto ai temi di retorica e letteratura dell'antichità deve avvicinarsi a questo lavoro.
Notes:
1. F. I. Merchant, Seneca the philosopher and this Theory of Style, in AJPh 26, 1905, pp. 44-59.
2. A. Setaioli, Seneca e lo stile, in ANRW II, 32/33, 1985, pp. 776-858.
3. J. Pigeaud, L'écart et le travers. Quelques remarques sur la suite des raisonnements dans la lettre 114 de Sénèque, in R. Chevallier e R. Poignault (ed.), Presence de Sénèque, Paris, 1991, pp. 203-220, a p. 208.
4. G. H., Müller, Animadversiones ad L. Annaei Senecas epistulas quae sunt de oratione spectantes, Weiddae Thuringorum, 1910, p.109, n. 1; G. Mazzoli, Seneca e la poesia, Milano, 1970, p.145 n. 85.
5. O. Rossbach, De Senecae philosophi librorum recensione et emendatione, Vratislaviae, 1888, p. 159 n. 39 (rist. Hildesheim, 1969).
6. J. N. Madvig, Adversaria Critica ad scriptores grecos et latinos, II, Emendationes latinae, Hauniae, 1873, pp. 475ss.
7. G. Garbarino, "Lo stile del filosofo secondo Seneca: una rilettura dell'epistola 100", in a Cura di F. Gasti, Il latino dei filosofi a Roma antica, Atti della V Giornata ghisleriana di filologia classica, (Pavia, 12-13 aprile 2005), Pavia, 2006, pp. 57-54.
No comments:
Post a Comment
Note: Only a member of this blog may post a comment.