Sunday, July 21, 2019

2019.07.42

Maurus Augustus, Sophoclis Oedipus Rex, New Edition. Bibliotheca utriusque linguae scriptorum Moscoviensis. Moscow: Academia Moscoviensis, 2016. Pp. xlviii, 76. ISBN 9785190111613.

Reviewed by Paolo Scattolin, Università degli Studi di Verona (paolo.scattolin@univr.it)

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Racchiusa da una simpatica copertina stile 'vecchia Teubner' è uscita nel 2016 l'edizione dell'Edipo re di Mauro Agosto che certo non ha guadagnato in visibilità grazie alla casa editrice e all'uscita nel 2018 dell'edizione Cambridge di P.J. Finglass.

Una lunga prefazione in latino (pp. vii-xlviii) descrive la tradizione manoscritta e presenta i criteri editoriali; seguono il testo critico, un Supplementum apparatus su passi selezionati (pp. 64-70) e il Conspectus metrorum (pp. 71-5).

Non ci sono novità rilevanti sui codici scelti e il loro rapporto, ma non è chiaro quale criterio Agosto segua nel menzionarli in apparato: non raramente le lezioni dell'insigne Laur. 32,9 sono riportate male, anche se Agosto beneficia della collazione di Hecquet-Devienne,1 ed è strano che non venga registrato sistematicamente il Laur. 31,10, terzo codice medievale più antico.

Agosto attribuisce la novità del suo lavoro all'attività congetturale: «in hac potissimum parte, quae tota ad emendationem et coniecturam pertinet, opellam meam collocavi multaque non prorsus (ut spero) infeliciter temptata ad eum creverunt numerum, ut iam non symbolas criticas, verum integram fabularum editionem postularent» (p. xxxii). Al conteggio dell'editore risultano «plus centum triginta» versi sanati, per tacere dei numerosi interventi sull'interpunzione.

In mezzo a questa messe di novità vi sono senz'altro delle proposte interessanti, per es. 32 ἁζόμεσθα – in effetti già di Naber (1881) – a governare gli accusativi in apertura; 362 τἀνδρός· οὗ ζητεῖς, κυρεῖς con interessante pausa sintattica (cfr. già ζητῶν κυρεῖς di Dawe nell'apparato teubneriano); 1025 εἴθ' ἑκών per il tràdito ἢ τεκών, non inferiore al fin troppo celebrato ἢ τυχών di Markland e Bothe pur che si dia al precedente ἐμπολήσας il senso di 'avendo procurato dietro compenso', cioè Polibo pagò per ottenere il bambino; tuttavia, alcune costanti del metodo di Agosto suscitano perplessità e intendo darne a seguire qualche esempio, pur nella consapevolezza che, in assenza di esplicite spiegazioni dell'editore (riportate tra virgolette), non posso essere certo di avere inteso la ratio degli interventi.

Preliminarmente devo segnalare che l'apparato e il testo critico non sono stati revisionati, cosicché convivono in apparato indicazioni incoerenti e traduzioni in più lingue, e capita che una congettura sia trattata come corretta ricostruzione del testo antico nella prefazione e nell'apparato, senza che tuttavia essa sia accettata a testo (es. 167 nel testo ὦ, ma in apparato Agosto accetta ὢ di Willink; 258 κῦρος γ' ἔχω si deduce dall'apparato, perché in linea Agosto lascia l'ircocervo κῦρος γ' ἐγὼ; 325 Agosto presenta in apparato μὴ λέγων come sua congettura da accogliere a testo dove tuttavia lascia μηδ' ἐγὼ).

44: nel commento (p. 65) Agosto non dice perché il tràdito ἐμπείροισι ('esperti') sia inaccettabile, ma vuole leggere ἐμπήροισι ('deboli' intellettualmente) ispirandosi a Hesych. ε 2452 ἔμπηρα· ἀνέξοχα, una glossa interpolata da Cirillo, il cui significato è incongruo con l'uso classico (es. Hdt. I 167) che vuole il termine sempre riferito a una limitazione fisica; Agosto ritiene tuttavia di sostenerne l'uso traslato perché i sinonimi πηρός e χωλός addotti da Erotiano (p. 40, 14-6 Nachmanson) sono attestati in Semonide e Platone appunto nell'accezione traslata (quindi?). Inoltre, per evitare l'incongruità col v. 45, Agosto assegna a μάλιστα il valore di μᾶλλον adducendo Eur. IA 1594, un verso probabilmente non genuino.

198 Agosto congettura βέλη (βέλει già Nauck e Seyffert, niente in apparato) e corregge anche εἴ τι di quasi tutti i codici in ἐς τί traducendo «quamcumque in rem», ma ciò non corrisponde a ὅ τι?

228: non ci sarebbe lacuna dopo 227 (Dindorf [1868] prima di Groeneboom citato da Agosto), e si dovrebbe leggere παρ' ἄλλο μέν, parentetico col senso di «in collatione aliarum rerum». Viene invocato a sostegno Aristot. de An. 421a 25-6 dove però il significato è 'a causa di', non 'in confronto a'.

328 Agosto evita di intervenire su 329, da sempre oggetto di numerosissime congetture, e si concentra sul secondo emistichio di 328, che nessuno sospetta, correggendolo radicalmente in ἐρῶ δ' οὐ μὴν πλέω per poi lasciare due finali in sequenza («non plura dicam, ut pro me orem, ne tua patefaciam mala») e proporre un uso peculiare di un verbum dicendi con τἄμ' (LSJ B III 1 λέγειν τά τινος = 'take his part', solo in Dem. 8, 64). Così si perde l'efficace sovrapposizione dei mali 'miei' e al contempo 'tuoi', al prezzo di correzioni pesanti, una sintassi poco chiara e la necessità di postulare un uso più unico che raro, e non poetico, di λέγειν (in 332 un'altra congettura oscura la stessa relazione: ἔγωγ'· ἐμαυτὸν οὔ τί σ' ἀλγυνῶ, «farò del male a me stesso, a te per niente»).

334-5 vengono espunte le parole καὶ ... ὀργάνειας, e 337-8 sono scambiati con 372-3. Non c'è un punto in cui inserire 337-8 senza mutare ulteriormente il testo, quindi ὀργὴν (337) diventa per congettura ὄρφνην così da creare una risposta all'insulto di Edipo (370-1). Altro aggiustamento è in 337 τὴν σοὶ del Vat. gr. 1333 (ma anche, addendum, del tricliniano T s.l.) contro il tràdito τὴν σὴν (ma a 338 lo stesso codice ha la banalizzazione κάτοιδας che getta un'ombra anche sulla lezione accolta).

334-6 si trovano ora seguiti da 372-3: una volta inserito un sempre utile γ(ε) per evitare la iato dopo κάκιστε, anche κἀτελεύτητος non sopravvive e diventa κἀνυπεύθυνος che dovrebbe suonare come un insulto (questo il tema di 372-3): in apparato Agosto riporta la resa latina del lessico platonico di Ast (senza citare i passi del filosofo!) «rationi reddendae non obnoxius», parafrasato con «contumax, ribelle» che non è però quello che intendeva Ast, perché in Platone si parla di autorità che pretendono comandare autocraticamente (il termine non è poetico, e Aristoph. Vesp. 587 ovviamente non conta). La ragione della congettura risiede forse nella necessità di trovare un insulto che tutti possano rivolgere contro Edipo, ora che 372-3 non reagiscono più all'accusa di cecità di 370-1. Chi infatti rinfaccerebbe a Edipo di essere 'inamovibile' o 'inconcludente'? Vi è un altro spostamento in questa sezione, cioè 376 inserito tra 365 e 366, con attribuzione a Edipo e correzione di ἐπεὶ in ἔπει («in seguito ad una parola»). In 376 i pronomi di prima e seconda persona dei mss. (με ... γε σοῦ) sono invertiti già da Brunck seguito da molti editori (σε ... γ' ἐμοῦ), mentre Agosto vuole salvare la paradosis e, passata sotto silenzio la soluzione di Kamerbeek di anticipare 376 prima di 374 con attribuzione a Edipo di 376-3, va alla ricerca di un punto in cui collocare il verso, trovandolo dopo 365. Infine Agosto deve recuperare la lectio facilior βλέψαι per βλάψαι (375): impeccabilmente Edipo direbbe che il cieco Tiresia non vede nessuno. Ecco il motivo di questo trattamento d'urto (p. xli): «deleta semel et in perpetuum effigie senis garruli et iracundi. An iuvat ad tragicos soccum transferre cothurnos?». Chissà come Marziale avrebbe giudicato questa riscrittura del personaggio Tiresia; sta di fatto che il Coro dice espressamente che gli interlocutori hanno parlato in preda all'ira (404-7).

378 s.: Agosto accoglie da Plut. Mor. 117 A θεὸς al posto di Κρέων dei manoscritti e della Suda. Naturalmente questo non basta, perché la domanda di Edipo non riceverebbe risposta, quindi Agosto corregge σοῦ del v. 378 in θεοῦ con punto interrogativo per sottolineare il sarcasmo di Edipo. Visto che Tiresia risponderebbe che la colpa non è certo di un dio (anzi, «di dio»), Edipo ne dedurrebbe «ex silentio» che allora il colpevole è Creonte: «si negasset, ut in libris, Tiresias, esse Creontem in culpa, minus intellegeremus, cur Oedipus non desinat illum incusare». Ma Edipo non aspetta una risposta alla quale attenersi e considera già Creonte e Tiresia dei complici: chiaramente la domanda di 378, sia con σοῦ che con τοῦ, ha tono sarcastico.

478-9 (a) πέτρας οἷα ταῦρος (reiz): per l'abbreviamento del dittongo Agosto rimanda ad alcuni passi sofoclei, ma, lasciando da parte gli speciali τοιοῦτος e ποιῶ, nei tragici l'abbreviamento si trova solo nel gruppo οὐχ οἷόν τε o in espressioni negative (cfr. 1415); (b) μέλεον μελέῳ ποδὶ χηλεύων, «quasi taurus infelicem infelici pedi suens [...] id est cruribus iunctis», vuoi mentre si prepara a scagliarsi contro i cacciatori, vuoi per evitare ogni moto che lo faccia scoprire. In assenza di obiezioni al tràdito χηρεύων non si vede come conciliare queste pose taurine col contesto di movimento e assillo.

853 δικαίως ὀρθόν, ὅν γε Λοξίας diventa δικαίως ὄθροόν γ' οἷς Λοξίας con il recupero dello hapax Hesych. ο 161 ὄθροον· ὁμόφωνον, σύμφωνον. Sorge il dubbio di cosa non vada in ὀρθόν, sì da giustificare tale audace trouvaille, ma si osservi soprattutto che i monosillabi elisi in ottava posizione sono di norma, per preferenza sintattica e ritmica, δέ e τε.

866-7 οὐράνιοι / δι' αἰθέρ' ἅτε κνῷ θέντες: «leges caelo aequatae, quae aethera longe lateque velut modiolo imposuerunt». Per risolvere le difficoltà del tràdito οὐρανίαν δι' αἰθέρα τεκνωθέντες Agosto, tralasciata l'economica congettura di Enger οὐρανίᾳ 'ν αἰθέρι, si concentra sulla parola che normalmente nessuno modifica, τεκνωθέντες – ma il Coro non sta appunto parlando dell'origine delle leggi? – che segmenta ottenendo un'immagine cosmologica sorprendente. Partito da un intervento minimo, Agosto deve però forzare le parole circostanti al nuovo contesto: ritrovato in Hesych. κ 3141 il significato di κνοῦς come «mozzo (della ruota)» (meglio sarebbe stato citare Phot. κ 826: in Esichio il senso è 'rumore dell'assale' o 'dei piedi') e ritenuto impossibile il nesso οὐρανίαν δι' αἰθέρα sulla base di Cic. nat. deor. 2, 15 (per l'Arpinate i termini specifici per l'ardor caelestis in cui sorgono gli astri sono aether oppure caelum, quindi, deduce Agosto, non si può dire caeleste caelum!), l'editore fa di αἰθέρα l'oggetto di θέντες che però richiederebbe una preposizione (es. ἅτ' ἐν κνῷ). E δι(ὰ)? Avverbio, nonostante la prossimità all'accusativo!

Nella sola famiglia 'laurenziana' 896 è agglutinato allo scolio πονεῖν ἢ τοῖς θεοῖς che Agosto promuove a colon (ba cr) dopo la correzione di ἢ in νυν (?), con conseguente lacuna alla fine dell'antistrofe. La motivazione è che nel Laur. C.S. 152 si legge in interlinea πονεῖν· τοῖς θεοῖς χοροὺς καὶ ἑορτὰς συνιστ‹άναι›, «ubi de glossemate glossematis agi, mihi persuadere non possum». Più semplicemente, nel codice è caduta la disgiuntiva che separa le spiegazioni negli scolii, e χοροὺς ecc. è un'aggiunta che integra il rimasuglio del commento originale contenente spiegazioni diverse di χορεύειν: πονεῖν (cfr. Hesych. λ 1397) e (χορεύειν) τοῖς θεοῖς, in senso rituale.

1031 τί δ' ἄλγος ἴσχων μου κυρεῖς κἀκλαμβάνεις; I manoscritti hanno ἴσχοντ' ἐν καιροῖς (ἐν κακοῖς, ἐν χεροῖν) με λαμβάνεις: la riscrittura di Agosto («versum ita concinnavi, ut significet etc») parte da ἴσχων del Laur. 32,9 («in lectione ab uno codice Laurentiano servata mihi veritas luce clarior affulsit»), corretto in ἴσχοντ' dalla nota mano che ha scritto il Par. gr. 2712, lezione comunque aggiunta in margine già dalla prima mano (niente in apparato). Si noterà però che il trimetro ha un enclitico non eliso in cesura mediana, combinazione di cui non trovo paralleli in tragedia e commedia.

1100-2 i codd. danno l'impossibile ἢ σέ γε θυγάτηρ τις Λοξίου; corretto da Arndt in ἢ σέ γ' εὐνάτειρά τις Λοξίου; Rifiutata la congettura per scivolose ragioni paleografiche, Agosto percorre la «viam erroris 'auditivi'» e arriva a ᾔσσεθ' ἡγάτειρ(α), nel senso di «illex Apollinis» – un significato estorto a Opp. C. I, 253 – non senza congetturare anche ὀρεσσιβάτα ‹γᾷ› προσπελασθεῖσ': si tratterebbe di una «adescatrice» che percorre i boschi montani «motibus corporis lascivis» («s'agitava (scil. per farsi notare) una qualche seduttrice del Lossia»): una immagine francamente sconcertante. Problemi: in lyricis ci aspettiamo la forma non contratta del verbo che comunque al medio non vale 'agitarsi' nel senso che intende Agosto; ἡγάτειρα non può che significare 'guida' e la forma dorizzante sarebbe comunque ἁγήτειρα (cfr. ἁγητήρ), con buona pace dell'errore fonetico.

In conclusione: Agosto compone il suo testo senza reverenze alla tradizione, ma la sua indubbia verve congetturale, pur pretendendo di fondarsi su un condivisibile principio di economia, ignora dettagli importanti di senso, uso e metro. Forse proprio le symbolae criticae, che Agosto riteneva insufficienti a contenere la sua inventiva, sono la forma più utile per esporre, e soprattutto motivare, le tante proposte, da vedere prudentemente come interventi 'diagnostici' più che come ipsa verba del poeta.

Una edizione critica non può nascere solo per contenere le congetture dell'editore.



Notes:


1.   M. Hecquet-Devienne, "Lecture nouvelle de l'Œdipe Roi de Sophocle dans les manuscrits L et A", Revue d'histoire des textes 24 (1994), 1-59. Per quanto riguarda il coevo palinsesto di Leida, Agosto non ha fatto a tempo a leggere il mio "Il testo dell'Edipo re di Sofocle nel palinsesto Leid. BPG 60 A", Lexis 34 (2016), 116-29.

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