Reviewed by Roberta Ioli, University of Bologna; University of Rome Tor Vergata (roberta1011@libero.it)
Il libro di Dino De Sanctis è un'ampia e accurata ricognizione della figura di Elena nei poemi omerici attraverso un'ottica particolare: quella della voce. Elena è sempre stata oggetto di attenzione nella storia degli studi: se ne è indagata l'origine nel mito e nella religione, la caratterizzazione omerica, l'evoluzione in ambito tragico, soprattutto a proposito del tema della colpa e della responsabilità nella guerra di Troia. Anche la connessione tra Elena e la pratica della tessitura non è nuova ma riceve, in De Sanctis, un rilievo speciale, attorno al quale viene costruita l'intera trama del libro. Inoltre la modernità di questa figura consiste, per l'Autore, proprio nei contorni indefiniti, talvolta ossimorici, che caratterizzano l'Elena omerica, sempre oscillante tra colpa e innocenza. La questione della responsabilità personale, insieme al ruolo dei logoi persuasivi nella determinazione della sua scelta, sarà poi tema ampiamente discusso nella produzione letteraria seguente, sia sofistica sia tragica, di cui però De Sanctis non si occupa. Due sono le tesi principali che attraversano il libro: la prima è che, pur nelle differenze tra i due poemi, l'Elena omerica mostra una continuità tra Iliade e Odissea intorno al tema del pentimento: la regina di Sparta è sinceramente addolorata per le conseguenze nefaste del suo gesto, e nel movimento che accompagna la conquista di uno spazio pubblico (dal palazzo di Paride in Iliade III fino al ritorno alla reggia di Sparta in Odissea IV) si mostra profondamente autocritica e consapevole delle proprie responsabilità. Pertanto, le differenze riscontrabili tra i due poemi rispondono prevalentemente a un mutato contesto narrativo e riflettono una dicotomia, nella caratterizzazione della figura di Elena, più apparente che reale. Il secondo tema sviluppato da De Sanctis è il legame di Elena con la poesia e il canto inteso come memoria. Se metafora della poesia è la tessitura (con tutto il carico simbolico che questa pratica comporta per il mondo femminile),1 tradizionalmente riconosciuta è anche la funzione metaletteraria della tela di Elena in Iliade III, dove, secondo la felice analisi di Ann Bergren, Elena diventa oggetto passivo della guerra e insieme artefice del suo emblema.2 L'assimilazione o meglio, per De Sanctis, la convergenza tra la voce di Elena e quella dell'aedo si snoda attraverso cinque capitoli che seguono l'articolazione stessa della voce: nel primo ("La tela di Elena"), protagonista è la tela che Elena sta tessendo nella dimora di Paride e in cui prendono forma le vicende della lunga guerra e le sue tante sofferenze. Nel secondo e terzo capitolo (rispettivamente "Elena sulle mura di Troia" e "La teichoscopia di Elena") la moglie di Paride, interpellata con affettuosa sollecitudine da Priamo, modula la propria voce in uno spazio pubblico, non più nel chiuso del megaron e nel silenzio solitario della tessitura. Nel quarto capitolo ("Elena ΑΟΙΔΙΜΟΣ: teoria e prassi del canto") Elena rappresenta, insieme a Ecuba e ad Andromaca, la voce femminile che in Iliade XXIV modula il goos, il compianto funebre in onore di Ettore, mentre nel quinto capitolo ("Alla corte di Sparta: Elena e il potere della voce") domina il racconto che Elena, in Odissea IV, offrirà a Telemaco, giunto alla reggia di Sparta per ottenere notizie del padre. La tela di Elena può essere interpretata, per De Sanctis, come un ideale proemio della teichoscopia: in essa sarebbe cioè ricamata e, dunque, narrata la premessa del conflitto a cui Elena stessa poi assisterà dall'alto delle mura, con un'accurata selezione delle imprese che gli eroi compirono per lei o a causa sua (i polloi aethloi di Il. III 126 richiamerebbero cioè le portentose imprese di Greci e Troiani, quei theskela erga che Iride, in veste di Laodice, invita Elena ad osservare dalle mura in Il. III 130). Inoltre, nell'incontro con Ettore in Iliade VI, in una scena privata in cui si intrecciano i destini dei due popoli, Elena indaga il tema del canto come se lei stessa fosse chiamata a rivelarne il significato più profondo. Pronta ad un dialogo intimo con il cognato, il senso di colpa non la abbandona, mentre le parole di Ettore restituiscono la complessa relazione tra vicende umane e volontà imperscrutabile degli dei, i cui effetti sono destinati a creare la materia di un canto futuro. Se in Il. VI Elena è figura ancora irrisolta tra innocenza e colpa, in Iliade XXIV dà voce piena al canto epico, il cui tema è sì il dolore legato alla guerra, ma con una funzione eternatrice: nel compianto recitato per il cognato, Elena sembra infatti far confluire la vicenda di Ettore nell'infelice condizione di Troia, passando dal tono intimo e personale al rispecchiamento universale del dolore. Attraverso Elena e il suo legame con la tecnica e le scelte del cantore si crea dunque un preciso raccordo tra il mito iliadico e il ritorno di Elena nell'Odissea. D'altra parte, la visione corale della guerra sviluppata nell'Iliade cede la scena al racconto monografico dell'Odissea, in cui il fuoco della narrazione sono le imprese di Odisseo, pur sempre condizionate dalle responsabilità della narratrice. Il pharmakon che in Od. IV 220 Elena offre ai suoi ospiti, a lenimento della sofferenza, è certamente un'ulteriore efficace metafora del potere della poesia, che allevia temporaneamente l'urgenza delle pene: già Plutarco (Quaest. Conv. 614b) aveva interpretato in maniera allegorica i pharmaka egizi, ammalianti come logoi che producono oblio. Mentre però De Sanctis (p. 213) propone un'assimilazione totale tra il potere delle Sirene e quello delle Muse, credo che le Sirene vadano piuttosto riconosciute come anti-Muse perché, per sua natura specifica, la poesia che esse rappresentano fornisce una sospensione solo momentanea del dolore. L'abisso spalancato dalla voce delle Sirene è invece quello di una definitiva perdita di consapevolezza e memoria della propria identità. Analogamente, pur essendo un'ipotesi suggestiva, non è necessario ricorrere all'Elena di Odissea IV come modello per le Muse esiodee (cfr. Th. 55): in altri casi il mythos narrato kata kosmon o kata moiran, cioè secondo un principio di ordine e armonia, viene assimilato, seppur indirettamente, al canto dell'aedo che accarezza l'uditorio con il fascino delle sue parole e induce a dimenticare lo scorrere del tempo (penso soprattutto ai racconti di Odisseo nell'incontro con Eumeo, con Eolo e con Alcinoo). Un'altra questione su cui bisognerebbe soffermarsi riguarda la relazione tra il canto e la verità: De Sanctis considera la voce di Elena una "autorevole garanzia della verità" (p. 245) a sostegno del cantore. Grazie a Elena, cioè, Omero sembrerebbe superare i non pochi limiti dai quali si sente condizionato nell'impresa del racconto. Tuttavia, Elena stessa è figura della poesia, in quanto dà voce non alla presunta onniscienza del poeta, bensì alla sua finitezza rispetto alle Muse che tutto sanno. L'assimilazione del mythos di Elena al canto di un aedo è molto precisa nel ritratto omerico di Od. IV 235 ss.: il suo logos presenta infatti un proemio, cioè un esordio articolato in un elogio rivolto a Zeus, a cui segue la aretalogia del dio; la terpsis, prerogativa del canto aedico, è presentata come piacere procurato dall'ascolto e, a mio avviso, da porre in relazione con quella caratteristica del canto che lo stesso Menelao le riconosce, cioè la narrazione kata moiran (IV 266). Inoltre, come il poeta dell'epos, Elena pronuncia una decisa recusatio (Od. IV 240-241): nell'impossibilità di un'enumerazione esaustiva, si astiene dal narrare tutti i fatti riguardanti Odisseo e opera una selezione guidata dalla memoria e rispondente, probabilmente, anche alla natura dei suoi interlocutori. L'espressione a cui Elena ricorre ("non tutto, certo, potrò ricordare e ridire") è simile a quella con cui viene introdotto il "Catalogo delle Navi": anzi, come sottolinea De Sanctis, non sarà certamente casuale che la prima autoriflessione formulata da un poeta e contenuta in Il. II 484-492 sia proprio la dichiarazione di un limite e di un'impossibilità, un dire per negazione o per sottrazione. Essenziale è infine il tema dell'eikos, concetto certamente centrale nella sua relazione con la poesia e che avrebbe meritato una più estesa trattazione.3 Ta eoikota (Od. IV 239) sono le parole appropriate al destinatario e, possiamo aggiungere, al contesto, ma anche ciò che è verosimile in rapporto al tema trattato. Nella delineazione di Elena come figura aedica, credo che un segnale della relazione tra eikos e voce vada riscontrato anche nelle parole di Menelao che, a proposito dell'inganno di Elena, la descrive come capace di "rendere simile [iskous'] la propria voce" a quella delle mogli dei Greci nascosti nel ventre del cavallo (Od. IV 279). Se l'episodio viene tradizionalmente interpretato come una prodigiosa imitazione di voci, capace di risvegliare nei guerrieri il desiderio di uscire allo scoperto, si può invece forse suggerire che Omero stia descrivendo non tanto un'oggettiva qualità mimetica della voce (con numerose questioni che resterebbero irrisolte), quanto piuttosto il suo effetto sull'uditorio, insieme ammaliato e confuso dalla straordinaria armonia di quella phonē. Il risultato è analogo a quello che il coro delle Deliadi sortisce sul pubblico nell'Inno ad Apollo, dove il canto è descritto attraverso il verbo synarariskein (v. 164, stessa radice di harmonia). La voce di Elena è unica, ma al suo interno sembra contenere tutte le voci: certamente, come conclude De Sanctis, il potere della voce si somma in modo armonioso al potere dello sguardo, confermando la bellezza vertiginosa e l'attrazione pressoché invincibile esercitata da Elena. Pochi sono i refusi, che non inficiano l'intelligibilità del testo: a p. 25 nota 2 si trova "sfuggire dalle azioni" invece che "sfuggire alle azioni"; a p. 53 in nota si legge "volore" invece di "volere"; a p. 93 in nota si dice che nell'Encomio di Elena di Gorgia i theōn keleusmata, insieme a Tychē e Necessità, sono la seconda causa analizzata dal sofista, mentre si tratta della prima aitia; a p. 111 in nota leggiamo "Sprta" invece di "Sparta"; a p. 206 "siginificato" invece di "significato"; a p. 240 "a partire dell'Iliade" va corretto in "a partire dall'Iliade". Talvolta le note sono forse eccessivamente ricche di dettagli eruditi che rischiano di appesantire la lettura: basti come esempio la nota di p. 237, in cui i riferimenti al primo Mimiambo di Eroda e alla figura di Metriche non sembrano pertinenti al tema affrontato, se non come evoluzione letteraria di un topos (ma, in questo caso, si potrebbero o dovrebbero citare molti altri esempi). Il libro tratta in modo articolato e coerente un tema interessante, al crocevia tra filologia, storia della letteratura e studi omerici. Sono inoltre strumenti preziosi, a completamento del volume, la ricchissima e aggiornata bibliografia di quasi cinquanta pagine, e un Indice dei passi citati.
Notes:
1. In proposito cfr. Andò V., L'ape che tesse. Saperi femminili nella Grecia antica, Carocci, Roma 2005.
2. Bergren, Ann L.T., Weaving Truth: Essays on Language and the Female in Early Greek Thought, Center for Hellenic Studies, Washington 2008. Ma si vedano anche Ford A., Homer: The Poetry of the Past, Cornell University Press, Ithaca 1992; Segal C., Singers, Heroes and Gods in the Odyssey, Cornell University Press, Ithaca 1994; Roisman H.M., 'Helen in the Iliad: causa belli and Victim of War: from Silent Weaver to Public Speaker', American Journal of Philology 127, 2006, pp. 1-36; Brillante C., 'La voce che affascina: Elena e Cleopatra', Materiali e Discussioni per l'Analisi dei Testi Classici 59, 2009, pp. 109-139.
3. Cfr. Turrini G., 'Contributo all'analisi del termine eikos, I: L'età arcaica', Acme 30, 1977, pp. 541-558; Goldhill S., The Poet's Voice: Essays on Poetics and Greek Literature, Cambridge University Press, Cambridge 1991, pp. 62 ss.; Hoffmann D.C., 'Concerning eikos: social expectation and verisimilitude in early Attic rhetoric', in Rhetorica 26, n. 1, 2008, pp. 1-29; Ioli R., Il felice inganno. Poesia, finzione e verità nel mondo antico, Mimesis, Milano 2018, pp. 81-94.