Reviewed by Edoardo Bianchi, Università di Verona (edoardo.bianchi@univr.it)
Preview Il volume raccoglie gli Atti dell'omonimo Convegno tenutosi presso l'Università degli Studi di Milano nel 2014, in occasione del bimillenario dell'ascesa al potere di Tiberio, e dedicato appunto all'età tiberiana. In tutto, vi si trovano 14 saggi, che spaziano dalla filologia alla filosofia, passando per l'archeologia e la storia politico-sociale con diversi approcci metodologici. Essi sono stati raggruppati dai curatori in due sezioni — "Ritratti" e "Contesti"— dedicate rispettivamente alla ricostruzione di un profilo culturale di Tiberio e all'analisi di aspetti e problemi significativi della sua epoca. Particolarmente interessanti risultano i saggi della prima sezione, il cui obiettivo precipuo sembra quello di restituire piena dignità all'attività culturale di Tiberio e degli uomini legati alla sua corte. Si cerca così di colmare una lacuna negli studi moderni, dove, anche a causa delle testimonianze ostili di Tacito e Svetonio, le opere di età tiberiana sono state per molto tempo trascurate, così da impedire, ad esempio, una puntuale valorizzazione del coevo impiego di fonti e motivi d'ispirazione ellenica, non solo nell'arte ma pure nella letteratura. Il contributo di Carla Castelli si occupa appunto della familiarità che Tiberio aveva con la lingua greca: ne emerge che l'imperatore se ne serviva per la comunicazione di tutti i giorni e addirittura per il suo personale impegno letterario. A Tiberio è attribuita espressamente una predilezione per la poesia greca, e in specie per Euforione, Riano e Partenio; si è anche conservato un epigramma greco a lui riconducibile (AP 9.387), di cui Castelli offre un'interpretazione originale. Alle testimonianze in lingua latina sulla cultura di età tiberiana è dedicato invece il saggio di Chiara Torre, che parte da una puntuale analisi della Epistula 88 di Seneca (contenente la nota polemica contro le arti liberali) e di alcuni passaggi svetoniani (incentrati sugli interessi grammaticali di Tiberio) per approdare a una ricostruzione delle tendenze filologiche e filosofiche in voga presso la cerchia di intellettuali vicini all'imperatore. Una prospettiva artistica e archeologica è prevalente negli altri contributi della sezione, tra cui si distinguono quelli di Matteo Cadario e di Elena Calandra. Il primo studia l'evoluzione della ritrattistica di Tiberio nei cicli statuari giulio-claudi, alla luce delle vicende dinastiche interne alla domus Augusta, per capire come l'imperatore fosse percepito e illustrato dai committenti. Viceversa, il saggio di Calandra, collocato significativamente in apertura del volume, si concentra sulla spettacolare grotta della villa di Sperlonga, dove – secondo le fonti – Tiberio avrebbe tenuto banchetti fino a un drammatico crollo avvenuto nel 26 d.C. L'importanza della grotta risiede nel fatto che essa fu ornata con gruppi statuari ispirati al mito odisseico e inseriti in un contesto simposiale in cui l'elemento acquatico svolgeva un ruolo fondamentale, con un accostamento già conosciuto in età ellenistica (e impiegato soprattutto dai Tolemei). Ora, siccome il banchetto deve essere considerato "un rituale di autorappresentatività politica e culturale", Calandra ritiene che la sua associazione con il mito nella grotta di Sperlonga abbia assunto un preciso significato ideologico. Tiberio, nello specifico, avrebbe voluto autoavvalorare il proprio potere richiamandosi al passato: tuttavia il passato in questione sarebbe stato non quello familiare, legato al nome del padre adottivo Augusto, ma appunto quello mitico legato alla figura di Odisseo, il padre dell'antenato della gens Claudia, Telegono. Ne consegue che Tiberio avrebbe espresso un messaggio di discontinuità rispetto al suo predecessore, sul piano sia personale sia ideologico, sottolineando la sua discendenza dalla gens Claudia ed esplicitando la sua adesione a ideali propri della "monarchia ellenistica". Tale interpretazione, che tende a sfociare nella dimensione politica, solleva perplessità su cui tornerò alla fine di questa mia nota. Per il momento, intendo concludere la presente rassegna concentrandomi sulla seconda sezione del volume, dove si trovano contributi indaganti fatti e contesti dell'età tiberiana da un punto di vista storico, letterario e archeologico. Il saggio di S. Segenni propone di rileggere in chiave politica il processo per lesa maiestas condotto nel 25 d.C. contro il senatore e storico A. Cremuzio Cordo. Come giustamente viene sottolineato, tale processo fu il primo assoluto ad essere intentato sulla base non di azioni compiute ma di parole solo pronunciate, e dunque può essere visto come il sintomo della difficoltà sempre maggiore incontrata da Tiberio nella gestione del dissenso nei confronti del principato come istituzione. Il contributo di A. Raggi affronta invece un tema apparentemente secondario: la concessione della cittadinanza romana ai membri delle élites della provincia d'Asia. In realtà, si tratta di un aspetto fondamentale della politica tiberiana, anche alla luce del fatto che l'imperatore aveva una conoscenza diretta e profonda del mondo greco-orientale (se non altro per il suo lungo soggiorno a Rodi dal 6 a.C. al 2 d.C.). E' quindi fondamentale sottolineare come Raggi, analizzando la documentazione epigrafica superstite, sia giunto alla non trascurabile conclusione che Tiberio non fu affatto generoso nella concessione della civitas alle élites locali; anzi – a dispetto del filellenismo da lui mostrato in altri ambiti – sembra avere perseguito l'obiettivo categorico di limitarla. Di rilievo sono i contributi di taglio archeologico dedicati a località dell'Italia che furono specialmente legate a Tiberio e ai suoi familiari o collaboratori, tanto da beneficiare della costruzione o del rifacimento di complessi architettonici di rilievo. Questo è ad esempio il caso analizzato da Fabrizio Pesando, relativo alla città di Alba Fucens: da qui proveniva Q. Nevio Cordo Sutorio Macrone, il successore di Seiano alla guida dei pretoriani, che per testamento fece costruire l'anfiteatro della città. Va però osservato che, in questo contributo, alla puntuale analisi archeologica relativa all'area dell'anfiteatro si accompagna un tentativo di ricostruzione storica del profilo di Macrone che appare meno efficace per via di un vizio di fondo: si dà infatti per scontato che Macrone sia stato l'assassino di Tiberio, quando invece la sua colpevolezza è tutta da dimostrare. Sebbene Tacito e Cassio Dione non esitano a riferire di una diretta responsabilità del prefetto nella morte dell'imperatore, bisogna anche considerare che i due autori scrissero a distanza di parecchio tempo dai fatti narrati (e, tra l'altro, non senza qualche esitazione, se Dione attribuisce a Caligola la vera responsabilità dell'assassinio). Le fonti coeve, invece, come Seneca e Filone d'Alessandria, non accennano mai a una fine cruenta di Tiberio.1 D'altronde, l'imperatore morì nel 37 d.C. all'età di settantanove anni, ciò che non può far trascurare l'eventualità di una sua morte naturale. Da ultimo, merita di essere considerato da vicino il saggio di Diana Gorostidi, in cui si indaga il rapporto tra Tiberio e la città di Tusculum, dove l'imperatore possedeva una villa. Recenti indagini archeologiche, infatti, hanno messo in luce che la città latina conobbe proprio in età tiberiana un significativo fervore edilizio, specie nell'area forense, da ricondursi con buona probabilità al diretto interessamento dell'imperatore. Secondo Gorostidi, il forte legame di Tiberio con Tusculum era dovuto al fatto che i Tusculani si dicevano discendenti di Telegono figlio di Odisseo, mentre lo stesso imperatore, in quanto membro della gens Claudia, vantava di avere un'analoga ascendenza. Si può qui scorgere un'affinità con la riflessione proposta da Elena Calandra a proposito di Sperlonga, e poggiante in ultima analisi su un'interpretazione avanzata anni addietro da Bernard Andreae, che già riteneva Sperlonga e Tusculum idealmente collegate grazie a Tiberio. 2 Lo studioso, in effetti, ricordava che i Claudii migrati a Roma al seguito di Atta Clausus provenivano da Inregillum (o, secondo altre fonti, da Regillum) e proponeva di vedere in questo toponimo il richiamo al territorio circostante—il più noto Lacus Regillus, luogo della famosa battaglia combattuta nei pressi di Tusculum agli inizi del V secolo a.C. Ne derivava che i Claudii< sarebbero stati originari di Tusculum e, siccome i Tusculani si vantavano di discendere da Telegono, allora anche i Claudii avrebbero celebrato il figlio di Odisseo come loro antenato. Una simile ipotesi è evidentemente allettante, ma si scontra, a un'attenta analisi, con alcune obiezioni difficili da superare. Innanzitutto va rilevato che, secondo le fonti, Atta Clausus proveniva dalla Sabina e non dal Lazio; inoltre, fatta salva la ben documentata tradizione sulla fondazione di Tusculum per opera di Telegono, occorre osservare che solo la famiglia locale dei Mamilii è espressamente celebrata per la sua discendenza dal figlio di Odisseo. Tutto ciò deve indurre, a mio avviso, a usare molta cautela anche a proposito della valorizzazione dell'appartenenza alla gens Claudia da parte di Tiberio. Infatti, se da una parte non è da escludere che egli andasse fiero di discendere da una delle più antiche gentes dell'Urbe, questo non significa, dall'altra, che abbia voluto esaltare la gens Claudia in funzione anti-giulia, o addirittura in funzione anti-augustea. In altre parole, sarebbe bene non confondere il piano privato della vita dell'imperatore con il piano pubblico della sua condotta politica. In più, bisogna scongiurare che una simile confusione si produca qualora si legga la storia di Tiberio secondo la categoria interpretativa del filellenismo. Tiberio, in effetti, fu un grande amante della cultura ellenica e si circondò sempre di intellettuali greci (anche al tempo del ritiro a Capri), ma questo non comporta che la sua condotta politica abbia pubblicamente assunto connotati filellenici.3 Anzi, un'indagine pur parziale come quella di Andrea Raggi sembra dimostrare esattamente il contrario. In ogni caso, proprio sul tema del filellenismo di Tiberio, credo che i contributi presenti in questo volume possano costituire un valido stimolo per ulteriori approfondimenti. L'indagare più nel dettaglio se e in che misura i valori della Grecità e dell'Oriente abbiano influito sulle decisioni politiche del secondo imperatore di Roma permetterebbe di aggiornare le posizioni ormai classiche alle quali è ancorata la storiografia moderna sul personaggio, che si rifanno alle insuperate monografie della scuola anglosassone: di Robin Seager, del 1972, e di Barbara Levick, del 1976.4
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Table of Contents
Introduzione/ a cura di Fabrizio Slavazzi e Chiara Torre
Sezione I Ritratti
1. Banchettare sull'acqua: Tiberio e gli altri/ Elena Calandra
2. Osservazioni sulla presenza di Tiberio nei cosiddetti cicli statuari imperiali/ Matteo Cadario
3. La Turchese Marlborough: una gemma problematica/ Elisabetta Gagetti
4. Il greco di Tiberio: aspetti linguistici e letterari/ Carla Castelli
5. Tiberio tra filologia e filosofia/ Chiara Torre
Sezione II Contesti
6. Politica e cultura in età tiberiana: il caso di Aulo Cremuzio Cordo/ Simonetta Segenni
7. L'integrazione delle élites cittadine asiane sotto Tiberio: le concessioni di cittadinanza romana/ Andrea Raggi
8. Tiberio a Tusculum: un riesame/ Diana Gorostidi
9. Tiberio e Aquileia. Considerazioni in margine al complesso edilizio dell'ex Fondo Tuzèt/ Fulvia Ciliberto
10. L'assassino di Tiberio/ Fabrizio Pesando
11. Esemplarità e paradosso: un modello repubblicano e la sua (in)attualità imperiale in Velleio Patercolo/ Marco Fucecchi
12. La storia romana negli Astronomica di Manilio: tradizione didascalica e sguardo imperiale/ Elena Merli
13. Callimachismo animale. Istanze letterarie nel Culex e in Fedro/ Sandro La Barbera
14. Tentativi di mediazione con il potere. Ovidio, Germanico e il proemio dei Fasti/ Luciano Landolfi
Indice analitico (autori antichi, personaggi, luoghi geografici e cose notevoli)/ a cura di Daniela Massara.
Notes:
1. Per un'analisi delle fonti si veda ad esempio A.A. Barrett, Caligula. The Corruption of Power, London-New York 1989 (20012), p. 41.
2. Cfr. soprattutto B. Andreae, Praetorium Speluncae. L'antro di Tiberio a Sperlonga ed Ovidio, Soveria Mannelli 1995, pp. 153-157.
3. Si veda ora l'articolo di S.H. Rutledge, "Tiberius' Philhellenism", in The Classical World 101, 2008, pp. 453-467.
4. R. Seager, Tiberius, London 1972 (20052); B. Levick, Tiberius the Politician, London 1976 (19992).
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