Reviewed by Antonella Doninelli, Istituto Teologico Cosentino "Redemptoris Custos", Rende (CS) (antodoninelli@libero.it)
Questa traduzione in lingua inglese della enneade V.1 si inserisce in un progetto complessivo che vuole fornire il testo inglese e un robusto commento a parti puntuali dell'opera plotiniana, le Enneadi. A questo volume, come ad ogni altro della serie intitolata The Enneads of Plotinus with Philosophical Commentaries, è premessa un'Introduzione dei due curatori del progetto complessivo, John M. Dillon e Andrew Smith, mentre il curatore di questo specifico volume è Eric D. Perl. La scelta di non apporre il testo greco a fronte della traduzione inglese si chiarisce nella chiusa della premessa di Dillon e Smith (p. 10): Plotino è un filosofo che ha qualcosa da dire a noi oggi, e la serie vuole offrire il lavoro di specialisti per consentire a tutti sia di accedere a Plotino nella loro lingua natale, sia di coglierne la valenza teoretica attraverso la ricognizione del commentario di questi stessi specialisti. Vi sono alcuni elementi importanti che sono punti fermi di tutta la serie: l'interpretazione che Plotino offre del testo platonico può apparire a volte sovraccarica di elementi successivi al testo stesso, come è ovvio per un autore che interpreta un testo che lo ha preceduto di molti secoli. Tuttavia, ciò che è caratteristico di Plotino è la scelta di rendere coerente il testo platonico al fine di poter disegnare la filosofia platonica come un insieme di argomentazioni il più possibile prive di aporie e di lacune che ne inficerebbero la completezza (p. 5). Penso che questo sia un punto fondamentale per comprendere il significato della parola stessa 'neoplatonismo', ed è meritorio che Dillon e Smith ce lo ricordino. È oramai acquisito in letteratura che l'oggetto 'platonismo' collegato alla storia dell'Accademia sia talmente multiforme da essere sistematicamente sfuggente (penso a Mauro Bonazzi, Il platonismo, Einaudi, Torino 2015); in un senso, il 'platonismo', l'immagine che passa nella tradizione medievale sino ai nostri giorni, è frutto dell'analisi concettuale dei neoplatonici a partire da Plotino. Ne risulta che il regno ontologico delle Forme platoniche diviene grazie a Plotino un universo intelligibile dinamico e complesso nel quale la dialettica dei contrari, unità e molteplicità, stabilità e attività, si trova conciliata in una struttura concettuale feconda (p. 6). Forse più controverso è un altro punto fermo della serie: consapevoli che la scrittura di Plotino difetta di una propedeutica poiché presuppone nel suo lettore una solida consapevolezza delle idee fondamentali (pp. 9-10), Dillon e Andrews non esitano a riconoscere in Platone, e nello stesso Aristotele, l'azione dell'amore all'interno della causa finale, mentre in Plotino non vedono che l'azione di una attività cognitiva (p. 7). Si tratta ovviamente di una opinione rispettabile, ma che non mi sento di potere condividere, specie se si associa ad una presenza dell'amore nella fonte per eccellenza di Plotino, ossia Platone. Vedrei più coerente, anche se ancora non del tutto condivisibile, una teleologia dell'amore sia in Platone, sia in Plotino; oppure una teleologia esclusivamente cognitiva sia in Platone, sia in Plotino. Differenziarli su questo punto mi suona un poco ruvido, ed è comunque un ottimo motivo per passare alla lettura dei vari volumi della serie per verificare come si traduca in concreto questa differenziazione della teleologia tra Platone e Plotino. Eric Perl traduce questa idea della serie, tesa a dare alla contemplazione un ruolo centrale, in una frase precisa: in Plotino la metafisica è spiritualità e la spiritualità è metafisica (p. 16). Non sono sicuro che Pierre Hadot, che pure è citato da Perl come fornitore di una eccellente definizione delle ipostasi come "livelli del sé", condividerebbe appieno questa frase emblematica, anche se ad un primo sguardo la frase di Perl parrebbe esprimere proprio l'approccio di Hadot. Almeno non la condividerebbe nel senso in cui Porfirio nella sua biografia di Plotino lo dipinge come un maestro di ascetismo, e comunque io suggerirei di leggere l'affermazione di Perl alla luce costante del volume di Hadot, Plotin ou La simplicité du regard, Folio, Paris 1997, dove ricorre al capitolo 2 l'espressione "livelli dell'io" (come tradotto in Plotino o La semplicità dello sguardo, Einaudi, Torino 1999) e al capitolo 7 la questione dell'ascesi. Perl stesso ci fornisce una sinossi della prima enneade del quinto libro, in cui si narra l'ambivalenza dell'intelletto e dell'anima tra mondo attuale e mondo ipostatico: si inizia con l'anima umana che non è più consapevole della sua origine divina, si passa alla necessità di acquisire tramite l'anima la consapevolezza della superiorità sul corpo e della sua comunanza con il divino; Plotino poi mostra la superiorità dell'intelletto sull'anima, che si declina nella sua grandezza e nella sua unione con la totalità della realtà intelligibile; in questa ascesa verso il divino l'intelletto è zavorrato dalla sua molteplicità, che può essere alleggerita grazie alla relazione con l'Uno, che è il principio supremo di ogni realtà; Plotino ora mostra che questa mappa ipostatica non è altro che l'autentica dottrina platonica, tinta di elementi pitagorici e presocratici, quindi Plotino non fa che portare alla luce il vero Platone; il percorso si completa con l'attenzione all'interiorità, a ciò che è dentro di noi – inward, nella consapevolezza che i livelli trascendenti di realtà sono sempre insieme a noi, e che per possederli dobbiamo allontanarci dalle cose sensibili (pp. 18-19). Non si può dire che questa sinossi sia fuorviante, tuttavia, a differenza della narrazione filosofica di Pierre Hadot, essa sembra mettere in sordina la enneade II, 9, diretta contro gli gnostici, e quei passi plotiniani che ad essa rinviano. Non si può dire che l'universo plotiniano non sia gerarchico, ma forse immaginare la processione delle ipostasi non tanto in senso verticale, quanto piuttosto in senso orizzontale, serve a rimuovere un eccesso di gerarchizzazione senza per questo rimuovere l'ordine ontologico che implica un posto preciso nella serie della realtà ontologiche, un poco come il numero naturale 6 precede il numero naturale 7, ma non per questo l'uno è più o meno importante dell'altro. Una processione orizzontale, una presa sul serio della natura matematica dell'ordine—e vi sono elementi precisi nel sesto libro delle Enneadi—mi pare possa servire a dare all'enneade II, 9 il posto centrale che merita. Un altro effetto storiografico potrebbe essere quello di mettere accanto al valore spirituale di Plotino anche quello di produttore di sofisticate ontologie formali, che richiedono una lettura analitica di tipo logico-formale più che di tipo mistico. Penso a imprese storiografiche come quella di John M. Martin, Themes in Neoplatonic and Aristotelian Logic. Order, Negation and Abstraction (Ashgate, Aldershot, 2004), una raccolta di articoli in cui la gerarchia neoplatonica, Plotino in testa, diviene un oggetto di ontologia formale, non già di spiritualità. Un approccio storiografico non elide l'altro, e mi parrebbe che un commento, seppure informato dai gusti filosofici del suo autore, non dovrebbe ignorare l'esistenza di piste interpretative alternative. Siamo di fronte ad un progetto di traduzione filosofica estremamente importante, e di un commento filosofico di alto valore e di coerenza puntuale, come è quello di Perl, attento ad una pluralità di nodi concettuali della riflessione plotiniana: a fronte di ventuno pagine della enneade V, 1, seguono centocinquantadue di commentario. Basti solo questo a sottolineare il duplice valore di trasmissione culturale di questo volume: per una enneade emblematica della strategia filosofica plotiniana, Perl ce ne fornisce una accurata traduzione ed una sistematica griglia interpretativa. Sarebbe ingeneroso rimproverargli di trascurare piste che a me sembrano attraenti: per esempio, a p. 130 l'emanazione è da lui detta una metafora, non una teoria, quando a me pare che sia una teoria della processione, distinta appunto dall'emanazione. La necessità di rimuovere il concetto di emanazione dalla lettura della filosofia di Plotino veniva già avanzata dallo storico della scienza Alexandre Koyré, nel suo volume L'idée de dieu dans la philosophie de st. Anselme (E. Leroux, Paris 1923), e mi piace citarlo a preferenza di una letteratura specialistica più recente proprio perché Koyré impostava il suo discorso storiografico nella prospettiva della ricognizione del neoplatonismo come una strategia filosofica che arriva al cuore della filosofia cristiana anche nella sua forma razionalistica, come è quella di sant'Anselmo. Il punto è che il testo di Plotino è assolutamente ricco e fecondo, quindi potenzialmente oggetto di un commento infinito. Quello che resta è un progetto meritorio, quello della serie, e la sua realizzazione precisa e puntuale da parte di Perl. E il desiderio di averlo a disposizione nella propria biblioteca, insieme ai volumi passati e futuri della serie.
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