Reviewed by Alessandro Russo, Università di Pisa (alessandro.russo@unipi.it)
Preview Sotto il comune denominatore della poesia latina in frammenti questo libro comprende undici capitoli (non numerati: qui utilizzerò una mia numerazione di comodo) divisibili in due sezioni: 1) un'ampia introduzione (1-43) generale a opera di Bruna Pieri e 2) dieci contributi di vari autori incentrati su specifici problemi e testi frammentari (45-205) e che derivano in gran parte da relazioni tenute nell'ambito di un seminario di studi svoltosi all'Università di Bologna nel 2014. Chiudono il volume un elenco in cui vengono comodamente raccolti i «Riferimenti bibliografici» utilizzati nel corso degli undici capitoli (207-239) e un «Index locorum et auctorum» (243-261) che rende il volume facilmente utilizzabile anche per una rapida consultazione (che sarebbe stata ulteriormente agevolata da un «Index rerum et verborum», che fra l'altro avrebbe avuto anche il merito di mettere in risalto i numerosi e preziosi contributi su questioni collaterali che, come vedremo almeno in parte, sono disseminati all'interno del volume). I dieci contributi specifici (che, come abbiamo detto, costituiscono i capitoli del libro numerabili da 2 a 11: sull'introduzione torneremo in séguito) sono disposti secondo l'ordine (prevalentemente cronologico) che i testi di volta in volta oggetto di indagine occupano nell'edizione oggi canonica dei frammenti poetici latini (i Fragmenta Poetarum Latinorum a c. di J. Blänsdorf, Berlin-NewYork 20112 [=FPL]) e a cui mi atterrò anche nel corso della mia recensione. I capitoli 2-5 (45-109) riguardano la poesia latina arcaica, rappresentata soprattutto da Ennio e, anzi, più in particolare, dal cosiddetto 'Ennio minore': nel capitolo 2, 45-52, Francesco Citti e Patrizia Paradisi si occupano infatti di un frammento delle Saturae enniane dimostrando convincentemente come esso sia edito in maniera insoddisfacente nei FPL, p. 77, n. 17 e indagandone, anche sulla base di materiale inedito, l'influenza che quel frammento esercitò sul poeta italiano Giovanni Pascoli. Particolarmente importante mi pare l'ampio contributo che nel capitolo 3, 53-77, Alfredo Mario Morelli dedica allo Scipio, un'altra opera che solitamente viene fatta rientrare nell'Ennio minore (cioè non epico né scenico), ma che Morelli considera una praetexta e dunque un'opera teatrale; e io sono ovviamente molto lieto di registrare il consenso di Morelli su questa tesi, che qualche anno fa ho cercato di risuscitare dopo un lungo periodo di oblio.1 Sono tuttavia ancora più lieto di vedere come Morelli abbia ripreso tale tesi argomentandola in modo molto più approfondito e convincente di me in molti punti: credo ad esempio che Morelli, con la sua più limpida e asciutta trattazione a p. 53 s., abbia sostanzialmente prevenuto ed efficacemente ribattuto le obiezioni che, contro la classificazione dello Scipio come praetexta, Llewelyn Morgan, in un articolo uscito troppo tardi perché Morelli potesse tenerne conto, ha ritenuto di poter ricavare da una testimonianza della Suda2; quanto alla controversa identificazione del metro del fr. 33* FPL, che io dopo altri avevo scandito come esametro, Morelli propone invece una scansione anapestica che ora, alla luce della sua eccellente discussione (58-63) mi appare assai più plausibile. E un aspetto che impreziosisce l'analisi dello Scipio condotta da Morelli è il suo inserimento nel quadro di una valutazione complessiva della poesia enniana che in vario modo fa riferimento a Scipione (cfr. 64-77: non solo lo Scipio, ma anche parte degli Annales e, come ipotizza convincentemente Morelli, del terzo libro delle Saturae). Anche nel capitolo 4, 79-88, a cura di Paolo d'Alessandro, l'Ennio minore, con il Sota (FPL, p. 73 s.), e i sotadei (o erroneamente presunti tali, come ritiene d'Alessandro, p. 88) delle Saturae (FPL p. 77, n. 18), occupa – assieme ad altri autori, come Accio e Varrone – un posto importante)3; chiude la parte del volume dedicata a frammenti di epoca arcaica la ricca ed equilibrata analisi che, nel capitolo 5 (89-109), viene dedicata da Lorenzo Nosarti a un epigramma anonimo in onore del pittore Marco Plauzio (FPL p. 89) – databile al II sec. a.C. – con particolare attenzione all'interpretazione del problematico verso 1 (per il quale Nosarti difende contro gli editori più recenti l'interpunzione Dignis digna loco etc. anziché Dignis digna. Loco etc. e ne indica l'interpretazione più probabile tra le due possibili). I capitoli 6-9 riguardano testi di età augustea e della prima età imperiale quali Seneca e Plinio il Giovane e in particolare: il capitolo 6, 111-132, è una discussione dedicata da Silvia Mattiacci a un epigramma in 6 versi di Augusto (FPL p. 264, n. 1) – o meglio, all'epoca della loro composizione, di Ottaviano: cfr. p. 119 – e all'uso tendenzioso che ne fa la fonte (in questo caso un altro testo letterario, Marziale 11, 20), sulla base della rara tecnica letteraria dell'epigramma nell'epigramma; nel capitolo 7, 133-148, Daniele Pellacani analizza i 5 esametri superstiti dei Phaenomena, la traduzione di Arato compiuta da Ovidio (FPL, frr. 1-2), alla luce di un confronto con altre opere ovidiane e con altre traduzioni latine del testo di Arato: particolarmente interessante mi pare la difesa, al v. 2 del fr. 1, della lezione (o congettura di Poliziano: Pellacani lascia aperta la dibattuta questione) contro il testo accolto dalla maggioranza degli editori, tra i quali da ultimo anche Blänsdorf; ingegnosa, ma forse bisognosa di ulteriore riflessione, mi pare invece la deduzione che sulla cronologia delle opere ovidiane, e in particolare sulla seriorità dei Phaenomena rispetto alle Metamorfosi, Pellacani (p. 145) trae da Ov. Met. 1, 2. Nel capitolo 8, 149-156, Aldo Setaioli torna, con una lucida ed equilibrata discussione che non nasconde le difficoltà della stessa soluzione proposta, sulla dibattuta questione dell'innominato maximus poetarum di Sen. breu. 2, 2 e ribadisce – sulla base del verso che Seneca qui gli attribuisce e della integrazione congetturale proposta già in passato maximus <comicorum> poetarum, – l'identificazione con Menandro (e Setaioli, con fini osservazioni di carattere stilistico, mette bene in luce quale potesse essere l'originale greco del verso di Menandro da cui dipendeva la traduzione fattane qui da Seneca). Nell'ampio e brillante capitolo 9 (157-184), Werner Suerbaum si propone di indagare le cause del comune – anzi, pressoché unanime – giudizio negativo espresso dagli studiosi moderni nei riguardi dei 13 esametri di Plinio il Giovane (FPL 1) da lui stesso citati all'interno di una sua lettera (7, 4, 6). Alla base di tale giudizio negativo secondo Suerbaum vi sarebbe soprattutto (cfr. in part. p. 175 s.) non lo scandalo per il contenuto omosessuale di quei versi, ma soprattutto il fatto che in essi Plinio dichiara di avere tratto l'ispirazione poetica da un letterato (in questo caso Cicerone) e non, secondo i canoni della tradizione letteraria, da una «forza soprannaturale» quali una divinità (Apollo) o una Musa (ma un interessante precedente letterario per questa operazione pliniana – cioè Mart. 11, 20 – è suggerito e ampiamente argomentato da Mattiacci all'interno dello stesso libro, 129-132: a questo riguardo sarebbe stato utile aggiungere dei reciproci rinvii interni tra le pagine di Mattiacci e Suerbaum). I conclusivi capitoli 10 e 11 devono invece la loro collocazione non tanto a ragioni cronologiche, ma al fatto che essi riguardano in ogni caso frammenti anonimi, che anche nei FPL sono posti in fondo al volume indipendentemente dalla loro datazione. Certo, per entrambi i due nuovi addenda (e in quanto tali assenti nei FPL) proposti e discussi nel capitolo 10 (185-194), Alfonso Traina nel § 1 propone comunque una datazione tarda, non prima del sec. IV d.C., ma per il primo dei due ammette anche «come ipotesi subalterna» la retrodatazione, sostenuta da Lorenzo Nosarti nel § 2 sulla base di ragioni linguistiche e stilistiche, a un «qualche esponente della poesia novella», dunque al II sec. d.C. Per quanto poi riguarda non la datazione, ma l'individuazione stessa dei due addenda poetici da inserire in una futura edizione dei FPL, le proposte mi paiono sicure nel primo caso, melum crebra decerpere manu tramandato dagli Scholia Bernensia in commento a Aen. 8, 53. Più problematico mi pare invece il secondo caso: è vero che nella edizione degli Scholia Bernensia a georg. 3, 306 s. (quamuis Milesia magno | uellera mutentur Tyrios incocta rubores) il testo stabilito nell'edizione critica tuttora di riferimento, quella di H. Hagen (1867), è: Miletus ciuitas Asiae, ubi lanae pretiosissimae et mollissimae sunt "tinctaeque nigram in purpuram": e del testo virgolettato dallo stesso Hagen tinctaeque nigram in purpuram, un dimetro giambico, Traina nel conclusivo § 3 analizza con la consueta finezza le particolarità sintattiche (la rarissima costruzione di tingo, nel significato di 'colorare', con in e l'accusativo) e lessicali (la iunctura mai altrove attestata nigram purpuram). Ma – proprio in considerazione di queste particolarità sintattiche e lessicali a cui dà luogo – appare opportuno osservare che nigram è congettura di Hagen in luogo di migrant dei codici, che a mio avviso deve essere reintrodotto nel testo: il tràdito tinctaeque migrant in purpuram (da intendere con il significato di «[le lane], tinte, passano al color porpora») appare infatti difendibile in base allo stretto parallelo offerto da Servio proprio in commento a georg. 3, 307 quae [scil. lana] Tyrium traxit ruborem id est migrauit in purpuram: la coincidenza, in commento allo stesso passo di Virgilio, tra migrant in purpuram degli Scholia Bernensia e migrauit in purpuram di Servio non può essere casuale e induce inoltre a credere che anche negli Scholia le parole tinctaeque migrant in purpuram siano parte del commento a spiegazione dell'insolito uso del verbo incoquo nel passo virgiliano (uellera … Tyrios incocta rubores), non una citazione (resta da spiegare quale ragione abbia indotto Hagen a considerarla tale introducendo le virgolette e a congetturare e accogliere nel testo la congettura nigram). Nel conclusivo capitolo 11 (195-205), Maria Chiara Scappaticcio offre un quadro generale su testi latini reperibili nei papiri: un tipo particolare di testi frammentari perché pervenuti per tradizione diretta e che, come ricorda Scappaticcio (p. 198) con un'ampia esemplificazione, solo in piccola parte sono stati editi (un'eccezione è il Carmen del bello Actiaco, di epoca augustea, accolto in FPL, Inc. 46, p. 427 ss., di cui Scappaticcio si occupa ampiamente ripercorrendone le vicende editoriali e indicando, p. 197, i criteri e il materiale documentario con cui dovrebbe esserne allestita una nuova edizione). Come dovrebbe ora risultare evidente dalla nostra rassegna, il libro raccoglie contributi assai differenti per epoca, autori, tipologie, temi dei testi trattati (e d'altro canto, data la natura del loro oggetto, gli studi sui testi in frammenti tendono inevitabilmente a un certo particolarismo): tanto più bisognerà allora essere grati a Bruna Pieri che, nella sua ampia introduzione al volume, è riuscita a ricomporre questa varietà di contributi in una sintesi organica e a ricavarne più generali indicazioni di metodo per la trattazione dei testi in frammenti. Questa sintesi generale appare d'altro canto preziosa proprio perché si alimenta del lavoro analitico compiuto nei capitoli che la seguono (e al quale Pieri non manca di dare il suo contributo aggiungendo, nel corso della sua esposizione, ulteriore esemplificazione): ne risulta uno stimolante e penetrante bilancio (arricchito da una preziosa e ben organizzata appendice bibliografica, 23-43, in dichiarata prosecuzione, di intenti e di metodo, con quella già allestita nel 1997 da Francesco Citti) di ciò che è stato fatto nel campo della poesia latina in frammenti, e di ulteriori prospettive di ricerca e di lavoro in questo particolare ambito di studi. Grazie a questo stretto connubio tra rigorosi contributi su questioni specifiche e riflessione metodica generale il volume risulta non solo una integrazione ai FPL indispensabile agli specialisti, ma anche un'affidabile e stimolante introduzione con cui avviare all'affascinante ma impegnativo studio dei frammenti nuove generazioni di filologi.4
[Authors and titles are listed at the end of the review.]
Indice
Bruna Pieri – Daniele Pellacani, 'Premessa'
Bruna Pieri, 'Fragmenta Poetarum Latinorum: problemi e prospettive'
Francesco Citti – Patrizia Paradisi, 'Pascoli, Ennio ( sat. frr. 21-58 V.2; fr. 17 Bl. 2) e l'allodola ciuffettina'
Alfredo Mario Morelli, 'Lo Scipio e la poesia celebrativa enniana per Scipione'
Paolo d'Alessandro, 'Frammenti sotadei nella poesia latina di età repubblicana'
Lorenzo Nosarti, 'Plinio nat. 35.115: "onore al merito" '
Silvia Mattiacci, 'I lascivi versus di Augusto citati da Marziale e la tecnica dell'epigramma nell'epigramma'
Daniele Pellacani, 'Ovidio traduttore di Arato: i frr. 1-2 Bl. 2'
Aldo Setaioli, 'Ancora sul maximus poetarum (Sen. brev. 2.2)'
Werner Suerbaum, 'Ein anerkannt schlechtes Gedicht des jüngeren Plinius (epist. 7.4.6 = Plin. fr. 1 Bl. 2)'
Alfonso Traina – Lorenzo Nosarti, 'Ancora addenda ai Fragmenta Poetarum Latinorum'
Maria Chiara Scappaticcio, 'Fragmenta poetarum Latinorum in papyris reperta: Occidente ed Oriente, testi e contesti'
Notes:
1. Quinto Ennio, Le opere minori, intr., ed. crit. dei frammenti e commento a c. di A. Russo, Pisa 2007, 199-208.
2. Llewelyn Morgan, A metrical scandal in Ennius, Classical Quarterly 64, 2014, 152-159. Aggiungo che l'articolo di Morgan discute troppo brevemente (p. 153, n. 4) i due ottonari trocaici (il secondo dei quali incompleto: per questa scansione cfr. ora anche Morelli, p. 56) di 30* FPL, che nel complesso degli 8 versi di attribuzione sicura (e di essi almeno 4 sono sicuramente in settenari trocaici) creano una polimetria imbarazzante per chi voglia negare allo Scipio lo statuto di opera teatrale.
3. Riflessioni e dubbi su alcune scansioni sotadiche comunemente ammesse anche in Quinto Ennio, Le opere minori, cit. n. 1, 151-158 e 259-261.
4. Pochi e facilmente emendabili i refusi che ho rilevato: segnalerei soltanto che a p. 91, n. 7 r. 8 bisogna chiudere la parentesi tonda dopo «suspicatur'», che a p. 190, n. 17, il rinvio per Ibico deve essere alla n. 19, non alla n. 18, e che a p. 189, n. 16, dopo «per due ragioni» correggerei l'interpunzione (due punti anziché una virgola).
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