Reviewed by Luca Gili, Université du Québec à Montréal (gili.luca@uqam.ca)
Questo volume contiene gli atti delle Lezioni Eleatiche tenute nel 2012 da Jaap Mansfeld. Le lezioni hanno luogo ad Ascea Marina, non lontano dalle rovine della antica Elea/Velia, e hanno per oggetto i protagonisti della filosofia eleatica. In altre edizioni del convegno, che ha ora trovato cadenza biennale, autorevoli studiosi si sono cimentati con il pensiero di Parmenide e di Zenone, che dell'antica Elea furono cittadini. In questo agile volumetto, invece, Jaap Mansfeld propone una nuova lettura del pensiero di Melisso, che visse a Samo, non ad Elea, ma che alla tradizione eleatica volle probabilmente appartenere, se hanno ragione le fonti antiche che di frequente lo associano a Parmenide. Lungi dal presentare i semplici atti di un convegno, per quanto prestigioso, questo volumetto si segnala perché contiene il primo contributo dedicato al pensiero di Melisso del pur prolifico professor Mansfeld. Trattandosi di tre lezioni particolarmente innovative, è legittimo attendersi che esse saranno un punto di partenza per chi voglia d'ora in poi cimentarsi nella interpretazione del pensiero di Melisso. Accanto alle lezioni in inglese di Mansfeld, che occupano circa quaranta pagine a stampa (pp. 71-112), il volume è impreziosito da una ricca introduzione in italiano di Massimo Pulpito (Lo straniero di Samo, pp. 7-67), da nove contributi di vari studiosi che discutono le tre lezioni di Mansfeld (pp. 115-179) e dalla replica di Mansfeld ad essi (pp. 180-191) e si chiude con alcune note biografiche riguardo ai vari autori (pp. 192-195) e un indice dei nomi citati (pp. 196-201). Il saggio introduttivo di Pulpito offre una dettagliata esposizione dello stato dell'arte riguardo a Melisso. Pulpito osserva che il severo giudizio di Aristotele, che riteneva Melisso un filosofo "grossolano", che volle seguire Parmenide senza averne la statura intellettuale, ha influenzato molti storici della filosofia antica a iniziare da Eduard Zeller. Per molti storici della filosofia che scrissero dopo Zeller, criticare le conclusioni di quest'ultimo divenne spesso un imperativo. Se si pensa che l’autorità di Aristotele e quella di Zeller erano concordi nel ritenere filosoficamente poco rilevante il pensiero di Melisso, la tentazione di riabilitarlo ad ogni costo doveva essere per alcuni fortissima. Non sorprende perciò la lista, minuziosamente raccolta da Pulpito, di quanti vollero "riabilitare" Melisso. Il punto di volta, che capovolge il paradigma "classico" che tendeva a svalutare il valore della filosofia di Melisso, ha luogo negli anni Settanta, con il volume pubblicato da Giovanni Reale nel 1970 (Melisso. Testimonianze e frammenti, Firenze) e l'ormai classico The Presocratic Philosophers (Londra, 1979) di Jonathan Barnes. A questi importanti volumi ha fatto seguito una importante stagione di studi, documentata da Pulpito con encomiabile acribia. Tra i saggi più recenti su Melisso di cui dà conto Pulpito, segnalo i seguenti: il volume di Flavia Marcacci (Alle origini dell'assiomatica. Gli Eleati, Aristotele, Euclide, Roma, 2011), che vede in Melisso il primo filosofo a noi noto attento al rigore della argomentazione in prosa (p. 43); l'importante saggio di Enrico Piergiacomi (Stronger Reality, in Philologus 158, 2014), che propone di individuare gli elementi di novità che Melisso ha apportato all'Eleatismo, in particolare mostrando come Melisso mostri il conflitto tra i dati dei sensi e la struttura del linguaggio (p. 44); un recente volume di Livio Rossetti (La filosofia non nasce con Talete, e nemmeno con Socrate, Bologna, 2015), in cui si esplora (per rigettarla) l'eventualità che Melisso sia il "padre" della filosofia (p. 46) e il saggio di Mathilde Bremond (Melissus' so-called Refutation of Mixture, in Rhizomata 3, 2015), in cui si sostiene che è incorretta l'attribuzione a Melisso dell'argomento contro la mescolanza nel trattato pseudo-aristotelico De Melisso, Xenophane et Gorgia. Nella prima delle sue tre lezioni ("Eleatic philosophy without tears", pp. 71-84), Mansfeld si interroga sulla lingua e sulle scelte stilistiche di Melisso, sottolineando alcuni aspetti meritevoli di considerazione. Melisso utilizza un linguaggio meno emotivo di quello di Parmenide. Il risultato è più arido e meno evocativo, manca l'alone misterico del poema del grande Eleate, Melisso non parla in prima persona, come invece aveva fatto Parmenide (pp. 75-76), attenendosi alla secchezza impersonale di una argomentazione che si vuole rigorosa. Nonostante queste innovazioni stilistiche, la prosa melissiana non è innovativa dal punto filosofico, dato che gli elementi dottrinali, secondo Mansfeld, dipendono largamente da Parmenide. Un elemento linguistico da sottolineare è l'andamento chiastico di molti argomenti (ad esempio: "Melissus here argues from a to b and then chiastically and counterfactually from b back to a: if it did come to be it was nothing, and nothing cannot come to be", p. 77). La seconda lezione ("Melissus in the ancient tradition, from Isocrates to Simplicius", pp. 85-94) contiene una rassegna molto innovativa delle fonti antiche su Melisso. Come giustamente nota Pulpito nella introduzione (p. 48), questo capitolo è assai prezioso e ci consente di guardare in modo nuovo non soltanto a Melisso, ma anche a Parmenide. Le testimonianze più antiche di uno scritto ippocratico e di Isocrate riguardano Melisso e non Parmenide. È Platone nel Teeteto (180e2) ad accostare i due filosofi 'eleati' e questa 'alleanza forzata' ('forced alliance', p. 87) divenne poi tradizionale. È degno di nota, però, che il nome di Melisso appaia prima di quello di Parmenide. La stessa coppia si ritrova anche nella Antidosis di Isocrate (268), opera che potrebbe essere stata scritta prima del Teeteto platonico. Se non è certo quindi che la coppia Melisso-Parmenide sia stata congiunta da Platone, resta ragionevole pensare che è grazie a Platone che i due iniziarono ad essere considerati assieme. Dipende senz'altro da Platone il suo allievo Aristotele, a cui si devono discussioni più esaustive delle filosofie di Parmenide e Melisso. Aristotele considera entrambi dei monisti, ma, ai suoi occhi, Melisso è più rozzo. Argomenta male—peggio di Parmenide—e propone una concezione materialistica dell'Uno, contrariamente a Parmenide. Come nota giustamente Mansfeld, queste note ci danno più informazioni su Aristotele e sui suoi pregiudizi che non su Melisso o Parmenide (ad esempio, si intuisce che Aristotele ritiene il materialismo più grossolano di altre filosofie e che errori nella argomentazione inducono Aristotele a dubitare delle capacità filosofiche dei suoi interlocutori). Importantissime sono poi le note che Mansfeld dedica ai Placita di Aezio (p. 92): We have seen that Parmenides is made to share several doxai of a general nature with Melissus (and conversely). But there are also reports of doxai concerned with the details of physical science, some of which he is said to share with philosophers like Hippasus or Heraclitus or Anaxagoras or Democtritus.The views attributed to Melissus pertaining to the cosmos are transpositions of elements of his original doctrine. And there are no references at all to Melissus in the parts of Aëtius dealing with the details of cosmology and psychology and human biology. For Parmenides however the picture is toto caelo different, and I believe that this is not only due to the incomplete transmission of especially books III to V of the Placita of Aëtius.
Nella sua terza lezione Mansfeld propone una serie di questioni ancora aperte negli studi melissiani (Further problems, pp. 95-107). Una di queste domande riguarda la dottrina che distingue Melisso da Parmenide. Secondo Melisso, l'essere è infinito perché esiste sempre ed è uno perché è infinito. In questo senso, l'esistenza omnitemporale (o atemporale) spiega l'infinità e l'infinità spiega a sua volta l'unità (p. 95). Alcuni studiosi hanno spiegato questa divergenza da Parmenide sottolineando il contesto 'ionico' in cui la filosofia di Melisso si sviluppa. Melisso, in sostanza, non avrebbe soltanto offerto specificazioni e modifiche all'essere parmenideo, ma avrebbe anche qualificato l'infinito di Anassimandro e di Anassagora, sottolineando (contro Anassagora) che la natura stessa dell'infinito impone che esso sia uno (e non molti). L'esatto rapporto tra il contributo 'ionico' e quello 'eleatico' sembra quindi ancora da chiarire nei minimi dettagli, benché sia assodato che l'elemento 'parmenideo' sia preponderante. Alla luce di ciò, Mansfeld ritiene che dei due titoli trasmessi dalla tradizione per il trattato di Melisso, "Sulla natura" e "Sull'essere", il secondo è probabilmente autentico, perché meglio corrisponde al contenuto del trattato.
Accanto a queste domande di contenuto dottrinale, risulta poi molto promettente lo studio del linguaggio di Melisso. Mansfeld osserva che molte storie della prosa greca dedicano poco o nulla alla prosa melissiana, benché essa sia verosimilmente la prima prosa argomentativa a noi pervenuta. Non solo: il passaggio da una argomentazione in versi alla prosa ha condotto Melisso a nuove scelte di vocaboli, come già osservato nella prima lezione. Per molte parole greche, la prima attestazione è data da Melisso. Mansfeld ritiene quindi che ci sia spazio per nuovi studi che dedichino attenzione alla lingua e allo stile melissiano, ampliando i risultati proposti nella sua prima lezione.
Le lezioni di Mansfeld sono seguite da un 'dibattito' a più voci, con una serie di interventi di cui do qui l'elenco:
Guido Calenda, "Melisso, il tradimento del pensiero eleatico", pp. 115-122Patricia Curd, "Ruminations on Mansfeld's Melissus", pp. 123-128
Stefano Daniele, "Immobilità e vuoto in Parmenide e Melisso", pp. 129-136
Sergio Di Girolamo, "Il Teeteto su Parmenide e Melisso in rapporto al problema mereologico", pp. 137- 144
Flavia Marcacci, "Sulla logica dimostrativa di Melisso", pp. 145-149
John Palmer, "The Early Tradition on Melissus and Parmenides", pp. 150-156
Massimo Pulpito, "Udire suoni o ascoltare parole? Un commento a Mansfeld su 30 B8 DK", pp. 157-164
Chiara Robbiano, "Parmenides' and Melissus' being without not-being", pp. 165-174
Livio Rossetti, "Un Melisso molto innovativo", pp. 175-179
Il volume contiene anche una risposta di Mansfeld. Per mancanza di spazio, non posso che menzionare il contenuto di alcuni di questi saggi, benché pressoché tutti rechino una prospettiva o una idea nuova che merita di essere presa in considerazione in future ricerche su Melisso. Patricia Curd osserva che gli attributi dell'Essere melissiano sono attributi divini. Propone quindi, su base speculativa, di considerare l'Uno melissiano come un dio. Il contributo di Sergio Di Girolamo è molto innovativo e merita senz'altro di essere ripreso e difeso in uno scritto di più ampio respiro. Di Girolamo osserva che l'identificazione del tutto (pan) con l'intero, ossia con un tutto avente una struttura e non riducibile alla somma delle parti (holon) è verosimilmente accostata da Platone agli Eleati (a questo sembrano indurre alcuni passi del Sofista). Secondo Platone, quindi, l’Essere degli Eleati e di Melisso non è un tutto indistinto, non diverso dalla mera somma delle sue parti. Questa tesi ha importanti implicazioni filosofiche e deve senz'altro essere sviluppata. Noto che l'identificazione di tutto e intero è una premessa dialettica in Platone e quindi non è facile attribuirla a qualche filosofo storicamente esistito. Rileggere la tesi di Di Girolamo insistendo sul contesto dialettico della argomentazione platonica può senz'altro condurre a importanti sviluppi storiografici. I saggi di Flavia Marcacci e di Livio Rossetti insistono sulla novità della argomentazione melissiana. Marcacci sottolinea che l'uso dei controfattuali è una importante novità e attesta che Melisso si interessava non tanto a risolvere contraddizioni che emergano dai dati sensoriali ma meri problemi logici. Per questo egli argomenta a partire da controfattuali, proprio perché non si interessa alla filosofia della natura e alle eventuali discordanze tra le tesi che difende e i dati dei sensi (p. 147). Rossetti invece rileva che "già Parmenide aveva dato prova di ammirevole controllo formale quando […] ha saputo piegare l'esametro e la terminologia omerica in modo tale da enunciare la serie dei demonstranda, fornire per ciascun demonstrandum sostanziosi embrioni di dimostrazione e infine introdurre, per ben quattro volte, una sorta di quod erat demonstrandum" (p. 177). Con Melisso questo rigore e questa acribia argomentativa raggiungono nuove vette.
In conclusione, il volume è un contributo molto prezioso per la conoscenza di Melisso e rimarrà a lungo sugli scaffali degli studiosi del pensiero arcaico.
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