Reviewed by Chiara Carsana, University of Pavia (chiara.carsana@unipv.it)
Il volume che qui si presenta è il quarto della nuova edizione della Politica di Aristotele diretta da Lucio Bertelli e Mauro Moggi. Il progetto, patrocinato dall'Istituto italiano per la storia antica, si inserisce nel panorama internazionale degli studi aristotelici proponendosi di offrire un contributo innovativo, grazie anche all'approccio interdisciplinare, risultato della collaborazione di studiosi dotati di competenze che spaziano dalla filosofia alla politologia alla storia alla filologia. All'interno di tale piano il presente volume rappresenta un momento importante, in quanto col libro IV i temi trattati nella sezione precedente (libri II-III) vengono affrontati in una prospettiva più ampia, il cui obiettivo è la verifica della varietà delle costituzioni, della varietà di uno stesso tipo di costituzione e delle motivazioni che ne sono all'origine; tutto questo in funzione del compito che Aristotele attribuisce al politico: proporre un ordinamento che le città siano messe in condizione di adottare a partire dalla condizione in cui si trovano e prestare soccorso alle costituzioni esistenti. Lo sguardo del filosofo dunque si allarga, e abbraccia una riflessione di natura non solo filosofico-politica, ma più concretamente storico- istituzionale, ponendo le basi alla trattazione dei libri V-VI. Il delicato compito di analizzare questo libro-chiave è stato assolto da una composita équipe di studiosi, che si sono trovati nella difficoltà di colmare il vuoto della prematura scomparsa di Paolo Accattino (autore dell'Introduzione). La sfida era dunque alta, ponendosi agli autori il problema di integrare le diverse parti del lavoro; ma il risultato raggiunto è di notevole qualità, anche grazie al coordinamento dei direttori del progetto, che sono anche curatori del volume IV. Ad essi si deve la scelta felice di collaboratori che realizzassero al meglio la parte di lavoro loro affidata: il commento ai capp. 1-6 è stato curato da Federica Pezzoli e quello ai capp. 7-13 da Giuliana Besso, rispettivamente già autrici di introduzione, traduzione e commento dei libri II e I; il commento ai capp. 14-16 è stato invece affidato a Mirko Canevaro, che ha potuto giovarsi delle proprie ricerche di ambito storico-istituzionale (vd. Bibliografia, p. 29). Barbara Guagliumi ha tradotto il testo, in modo sempre rispettoso del dettato aristotelico. Allo stesso modo, coerentemente alla impostazione di partenza del Progetto, l'edizione critica di Michele Curnis si conforma alla tradizione manoscritta, rifiutando congetture posteriori dettate da ragioni esegetiche. Tali scelte affrontano il rischio di una "difficoltà di lettura" del testo, che riflette il carattere composito di un'opera mai giunta ad una forma definitiva per la pubblicazione: tale impostazione, filologicamente e storicamente rigorosa, trova la mia piena condivisione. L'Introduzione di Paolo Accattino (pp. 7-20) fa da base teorica e metodologica. Si tratta di una lezione di metodo di approccio al testo aristotelico che fornisce indicazioni importanti anche per la comprensione dei due libri successivi. Intento dell'a. è quello di riflettere sul metodo di lavoro di Aristotele: al di là di apparenti contraddizioni e/o lacune nello sviluppo del ragionamento aristotelico, Accattino si sforza di evidenziare al lettore i richiami interni al testo, permettendogli di seguire il tortuoso ma coerente percorso dell'argomentazione. A tal fine egli si concentra sul capitolo 4 (pp. 10-17), in cui riconosce un punto di snodo: anzitutto perché in esso compare una doppia classificazione delle varie forme di democrazia e oligarchia, e poi soprattutto perché Aristotele fa un uso non rigido e non esclusivo della suddivisione della città in parti caratterizzate per status economico-sociale. Le forme di democrazia e di oligarchia sono infatti classificate in un ordine che va da una forma moderata a una forma estrema, ma sia nella forma estrema dell'oligarchia che nella forma estrema di democrazia non si ha un mutamento della composizione sociale del regime, bensì una degenerazione dovuta o all'assenza di regole o alla presenza di regole scorrette. Questo ragionamento si conclude bruscamente con un apparente salto concettuale, l'abbandono di una pista che potrebbe sembrare una contraddizione. Tuttavia Accattino ci guida oltre, mostrandoci come questo testo "rimasto allo stato di torso" (p. 15), non vada del tutto perso e si riproponga come "lascito metodologico" negli ultimi tre capitoli del libro IV, dove non si parla più di parti della città, bensì delle tre parti di tutte le costituzioni: l'organo deliberante, le cariche politico-amministrative e l'organo giudiziario. Il percorso dell'indagine si sviluppa dunque in due direzioni: quella delle differenze di status di coloro che accedono al potere, seguita in modo prevalente fino al cap. 13, e quella delle forme assunte dagli istituti politici, nei capitoli 14-16. La complementarità tra queste due strade è anche alla base del tentativo di Aristotele di assolvere ad uno dei compiti assegnati alla scienza della politica in apertura del libro IV, ossia la ricerca della costituzione migliore entro le condizioni date. Tale costituzione è la mese politeia, fondata sui mediamente abbienti, i mesoi, a condizione che essi costituiscano la maggioranza, o che possano, associandosi ai ricchi o ai poveri, impedirne gli eccessi. Questo aspetto rappresenta un fatto noto. "Meno note – procede Accattino – sono le osservazioni che seguono nell'ultima parte dello stesso cap. 11". L'assenza di un forte ceto medio non mina la convinzione aristotelica di una possibile via d'uscita dall'alternativa oligarchia/democrazia: essa è rappresentata dalla politeia come costituzione mista di cui si parla nei capp. 8-9. Qui, per illustrare i tre criteri diversi di combinazione necessari per formare una politeia, Aristotele ricorre alle tre parti di cui consta ogni costituzione: l'organo giudiziario, l'organo deliberante e le cariche politico- amministrative. Il cap. 4 rappresenta così – come Accattino dimostra in modo magistrale – il nucleo di un percorso di ricerca alternativo e complementare a quello socio-economico, che qualifica in modo originale la teoria della costituzione mista aristotelica e si ripropone nel successivo libro VI. I tre curatori del commento ad loc. hanno saputo, partendo dalle proprie specifiche competenze, impostare con rigore ed efficacia l'analisi e la discussione ai singoli capitoli del trattato, conformandosi alle linee metodologiche offerte dall'Introduzione. Fornirò alcuni esempi del valido contributo offerto da ciascuno di loro. All'interno della sezione di commento ai primi sei capitoli (pp. 161-230), Federica Pezzoli ha dedicato notevole spazio all'analisi ai capitoli 1-2, che definisce una sorta di proemio ai libri IV-VI: dei contenuti di tale proemio si dà conto non solo calandoli all'interno della complessa architettura della Politica, ma ricostruendo anche in modo puntuale la fitta rete di riferimenti all'insieme delle opere aristoteliche cui soggiacciono particolari concetti e ragionamenti (vd. ad es. a proposito dell'analogia tra scienza politica, medicina e ginnastica). Particolare attenzione l'a. consacra anche al commento ad loc. al capitolo 4, evidenziato come snodo teorico fondamentale già nell'Introduzione. In coerenza con essa, viene richiamata e discussa criticamente la teoria sostenuta da molti critici che consideravano 1290b 22-1291b 13 come un'aggiunta posteriore di Aristotele o di qualche altra mano. I capitoli 7-13, oggetto del commento di Giuliana Besso, sono dedicati alla politeia e alle aristocrazie non perfette, che rientrano nella nuova classificazione delle forme costituzionali offerta da Aristotele (pp. 231-78). In modo coerente all'Introduzione, i punti su cui l'a. focalizza maggiormente l'attenzione sono i capitoli 11 e 13, tra loro strettamente connessi. L'a. discute alcuni aspetti problematici dell'argomentazione aristotelica: la differenza tra politeia e mese politeia (pp. 254-5); la gradualità di situazioni contemplate da Aristotele (p. 258); l'"atteggiamento in parte contraddittorio" con cui Aristotele "si sofferma sulle ragioni della rarità o quasi assenza di esempi concreti di mese politeia". Per rispondere a tale questione, si richiama la soluzione offerta nell'Introduzione (pp. 18-20), dove si sostiene che Aristotele ipotizzi "l'esistenza di una mese polieia. . . che si basi sull'accordo tra ricchi e poveri", che "si identifica con la politeia descritta nei capp. 8-9 e definita come una mescolanza di democrazia e oligarchia" (p. 260). Nel cap. 13 si individua uno snodo che fa da ponte ai capp. finali 14-16. La descrizione minuziosa dei sophismata con i quali i ricchi da un lato e i poveri dall'altro si sforzano di raggiungere il predominio sulla parte opposta (1297a-b 1) si conclude con l'affermazione che una giusta mescolanza delle caratteristiche della oligarchia e della democrazia è la soluzione migliore in quanto evita che la politeia cada nelle mani di una sola delle parti in gioco. Il termine mantiene, secondo l'interpretazione convincente dell'a., il medesimo significato nella parte successiva del capitolo, dove si parla dell'oplitismo come caratteristica della politeia (pp. 271-2). Un esempio storico di questa politeia è individuato da Aristotele nell'antico sistema costituzionale dei Maliesi, da cui il filosofo prende l'avvio per "tracciare una rapida sintesi dell'evoluzione dei primi regimi costituzionali" (p. 274). Essa "è diventata il bersaglio preferito di quanti negano al filosofo la capacità di fare storia" (pp. 274-5). "In realtà –conclude l'a. – lo Stagirita si è espresso su questo insieme di tematiche che hanno al centro la nascita e l'evoluzione dei regimi politici, affrontandone i complessi problemi da prospettive diverse" nel corso dei libri I-IV. L'indicazione di metodo di approccio che ne deriva è coerente e condivisibile. I capitoli finali del libro IV (14-16) sono dedicati alla presentazione delle tre parti che strutturano ogni costituzione e ne determinano la forma: l'ambito deliberativo (to bouleuomenon), le magistraure (hai archai) e l'attività giurisdizionale (to dikazon). Curatore è Mirko Canevaro, esperto di storia delle istituzioni. In virtù di tale competenza, il commento al cap. 14 è particolarmente pregevole e ricco di riferimenti e di confronti storico-istituzionali stimolanti. Nel commento a 1297b-1298a l'a. enuncia osservazioni di metodo che richiamano l'Introduzione di Accattino: la contiguità tematica e la consequenzialità con la parte precedente del libro IV fanno di questi tre ultimi capitoli una sezione complementare e insieme subordinata alla precedente. I tria moria non sono istituzionalmente separati, ma si accavallano, in particolare all'interno di una politeia caratterizzata da commistioni istituzionali in queste tre aree. A partire da questa considerazione, l'a. istituisce un confronto tra concezioni costituzionali antiche e moderne, sottolineando, da un lato, la distanza del pensiero aristotelico dalle moderne concezioni dei poteri e degli organi dello stato (fondate sul principio della separatezza), dall'altro l'eredità, in Aristotele, di idee correnti nel pensiero politico greco già a partire da Erodoto e poi presenti in Euripide e nell'oratoria attica. Nel commento alle riflessioni sulla funzione deliberativa l'a. dedica una particolare attenzione alla ricerca di riscontri storici alla casistica costituzionale descritta da Aristotele, che va oltre quella degli exempla offerti dallo stesso filosofo. Il materiale di confronto è solo in parte derivato dall'Ath. Pol. e si estende all'oratoria attica, alla storiografia, all'epigrafia di IV-III sec. a.C.: esso evidenza quanto l'argomentazione aristotelica partisse dall'osservazione di realtà costituzionali contemporanee e passate. La dimensione storico-diacronica non è al centro degli interessi del filosofo, la cui ricerca mira all'individuazione di modelli tratti dalla realtà (a prescindere dalla loro collocazione spazio-temporale) che veicolassero la propria proposta politica. Questa realtà è, in ogni caso, rigorosamente greca, e di conseguenza Canevaro si attiene ad una ricerca circoscritta alle poleis greche, asiatiche e d'occidente. In realtà, la riflessione aristotelica richiama anche un altro contesto coevo: la res publica romana. L'idea di tre funzioni, deliberativa esecutiva e giudiziaria, distribuite tra istituzioni monarchiche, aristocratiche e democratiche di una costituzione mista, è sottesa alla descrizione polibiana della costituzione romana del libro VI delle Storie.1 Se si può ragionevolmente ipotizzare un'influenza aristotelica alla base dei ragionamenti di Polibio, non è invece possibile ritenere che Aristotele guardasse a Roma come ad un modello costituzionale di riferimento per la Politica.2 A differenza di Cartagine, i Romani ai suoi occhi dovevano far parte della categoria dei barbari non ellenizzati o ellenizzabili, dal momento che egli non condivide il mito delle origini troiane della città. E' dunque logico che Canevaro, non interessato a indagare la fortuna del pensiero politico aristotelico, non menzioni né Roma, né Polibio all'interno del suo commento. L'edizione traduzione e commento del libro IV è dunque un'opera utile, rigorosa, seria, destinata a lasciare una traccia durevole all'interno della storia degli studi su Aristotele. L'edizione della Politica si è intanto arricchita del nuovo volume dedicato ai libri V e VI a cura di Cesare Zizza, Maria Elena De Luna e Michele Curnis, con il quale il Progetto mantiene il suo altissimo livello qualitativo.
Notes:
1. Vd. D. Mantovani, Il diritto e la costituzione in età repubblicana in AA.VV., Introduzione alla storia di Roma, Milano 1999, pp. 227-8.
2. Vd. il contributo recente di M. Humm, Aristote et les Romains: entre hellénisme et barbarie, une vision grecque de Rome du IVe siècle avant J.-C. in Y. Lehmann (ed.), Aristoteles Romanus. La réception de la science aristotélicienne dans l'Empire gréco-romain, Turnhout 2013, pp. 425-62.
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