Reviewed by Filippo Canali De Rossi, Liceo Classico Dante Alighieri (canali.filippo@libero.it)
Il presente libro costituisce una raccolta di conferenze, tenute alla Università Cattolica di Milano e incentrate sull'opera di Giustino, epitomatore di una più vasta opera storica in 44 libri scritta da Pompeo Trogo, ed in particolare sulla prima sezione dell'opera (grosso modo fino al decimo libro), ad esclusione di Alessandro Magno, della storia ellenistica e di Roma, che presumibilmente saranno trattate in future analoghe raccolte di contributi. Nella presentazione le due coeditrici presentano il progetto di esaminare il lavoro di Giustino sull'opera di Pompeo Trogo e il rapporto di questa con altri autori, in particolare Teopompo e Timagene, nell'ambito di un più vasto progetto universitario dai contorni più vaghi e meno rigorosi. Nel primo contributo, "La storia del testo di Giustino: punti di arrivo, prospettive di ricerca", pp. 3-25, Marco Petoletti traccia un avvincente stato della questione circa la trasmissione dei manoscritti contenenti il testo dell'epitome di Giustino, autore che, avendo trovato accoglienza già presso gli antichi padri della chiesa ebbe poi una grande fortuna in tutta l'età medievale e di cui sono tramandati circa 200 testimoni. Lo stesso Giustino ha illustrato nel prologo o il ruolo di epitomatore da lui svolto sull'opera di Trogo.1 Enumerate le principali edizioni critiche moderne ed individuate quattro principali famiglie di manoscritti, di ciascuna vengono illustrati i codici più importanti, le cui vicende assomigliano in alcuni casi a veri e propri romanzi storici. Diciamo solo che uno dei manoscritti della famiglia italica, il Leidense, fu nelle mani di Landolfo Colonna, e ad esso attinse il nipote Giovanni Colonna, amico di Francesco Petrarca, per tracciare un ritratto di Pompeo Trogo nel suo De viris illustribus, dove peraltro, come in altre vite antiche, Trogo è detto Hispanus.2 Il secondo saggio, di Serena Bianchetti, è il primo a ritagliare una sezione dell'opera per imbastire un apprezzamento critico di Giustino, sia in quanto epitomatore di Pompeo Trogo (soprattutto in base al confronto con i prologi indipendentemente ricavati da quell'opera), sia valutandone le conoscenze e l'apporto originale sullo sfondo della restante tradizione storica. In questo contributo dunque, "La geografia della Scizia nell'opera di Giustino", pp. 27-44, l'autrice riconduce il fondamento degli excursus geografici di Trogo al tema della translatio imperii, eleggendo poi lo excursus scitico ad oggetto di specifica trattazione: gli Sciti, la cui antichità è contrapposta anche in Giustino a quella degli Egiziani, vengono esaltati per le loro virtù barbariche, ricondotte a ragioni climatiche temperatrici di anime e corpi. Agli Sciti verranno poi ricondotte anche le virtù dei Parti, nell'ottica di un asserito antiromanesimo di Trogo. Il contributo di Giuseppe Mariotta, "Geografia e geopolitica nelle Storie Filippiche", pp. 45-56, riprende il tema già accennato della translatio imperii, nella convinzione che lo stadio finale sia rappresentato non tout court dal dominio di Roma (come peraltro lascerebbero pensare alcuni passi), ma da una antitesi fra l'Oriente dei Parti e l'Occidente soggetto al dominio di Roma. A ciò si ricollega anche la erudita questione, risalente forse a Posidonio, circa la pertinenza dell'Africa all'una o all'altra parte del mondo. Bernard Eck, "L'Orient au livre I de Justin ou comment Justin écrit l'histoire", pp. 57-84, elegge a modello di principio metodologico l'analisi del I libro dell'opera, che presenta la successione degli imperi assiro, medo e persiano, ad esclusione dell'Egitto. Nel confronto fra il testo del primo libro di Giustino e quello del prologo emerge l'omissione di alcune digressioni: si apre la caccia alle fonti di Pompeo Trogo, con il limite che alcune di esse, quali Timagene o Eforo o Dinone, risultano poi inverificabili. Una analisi più stretta delle fonti utilizzate da Trogo per il libro I evidenzia però una dipendenza da Ctesia per le figure di Nino, Semiramide e Sardanapallo. Volendo lo Eck ricostruire il metodo di Giustino attraverso il confronto con Ctesia affiorano alcune difficoltà, perché fra i due c'è innanzitutto l'incognita della mediazione di Pompeo Trogo, inoltre il passaggio fra universi linguistico-culturali differenti: nondimeno si osserva l'insistenza dell'autore latino su temi assenti o appena accennati nel modello greco, quale il travestimento dei dinasti in abiti muliebri o maschili. Circa il passaggio dalla dominazione assira alla egemonia dei Medi e alla successiva affermazione dei Persiani, è possibile imbastire un confronto diretto con Erodoto, al quale tuttavia Giustino non è interamente riconducibile, come d'altronde nemmeno a Ctesia (manca in quest'ultimo la figura di Arpago). Altrettanto complessa è la vicenda della morte di Cambise e dello interregno dei Magi, per la quale alle versioni di Erodoto, Ctesia (in Diodoro Siculo) e Giustino si aggiunge il testo della iscrizione fatta incidere da Dario a Béhistoun. Anche in questo caso la versione di Giustino presenta qualche elemento di originalità rispetto alle altre fonti. Mancando il contributo dedicato alla trattazione giustinea delle guerre persiane, a una delle co-editrici del volume, Cinzia Bearzot, è toccato di trattare un "La «pentecontetia» in Trogo e nell'Epitome di Giustino", pp. 85-124, tema che, molto ben individuato in Tucidide, si rivela di fatto mal periodizzato in Trogo-Giustino. Pertanto l'autrice evidenzia le diverse prospettive fatte proprie dall'autore, ad esempio la centralità di Sparta. In alcuni dettagli del racconto relativo alle vicende della II guerra persiana Giustino si rivela indipendente tanto da Erodoto quanto da Eforo (rappresentato da Diodoro Siculo), così come nella vicenda della ricostruzione delle mura di Atene è il solo a riportare (assieme a Frontino) alcune astuzie messe in atto da Temistocle, pur riprendendo nella sostanza il racconto tucidideo. Originale è poi in Giustino la collocazione della pace di Callia a ridosso della battaglia dell'Eurimedonte vinta da Cimone (468 a.C. ca.) mentre in Diodoro essa è posta dopo la spedizione dello stesso Cimone a Cipro (451 a.C.) ed in Tucidide ne è del tutto assente la menzione. Nel resto del contributo si analizza la struttura del III libro di Giustino confrontando il prologo trogiano con il testo dell'epitome, evidenziando un lungo excursus sulle origini dei Dori e sulle vicende antiche del Peloponneso che spezza la continuità nella narrazione della storia greca. Il libro presenta anche le vicende dinastiche interne al regno di Persia nel V secolo a.C., per concludersi con la prima parte della guerra del Peloponneso o guerra archidamica, che appare trattata in dipendenza da Eforo. In questa trattazione il ruolo centrale assegnato alla potenza spartana è bilanciato in qualche modo da una certa simpatia nei confronti degli Ateniesi, mentre i riferimenti alle vicende intermedie della vera e propria pentecontetia e in particolare al ruolo degli alleati, velati da una notevole oscurità, appaiono non interamente riconducibili alla narrazione tucididea, anch'essa non del tutto chiara. Ugo Fantasia, "La guerra del Peloponneso nell'Epitome di Giustino", pp. 125-166, riprende il concetto, di cui già dicemmo a proposito del contributo del Mariotta, secondo il quale la translatio imperi non si conclude con il dominio romano, ma è contrassegnata nello stadio finale da una bipartizione del mondo fra Romani e Parti. Importante il riferimento ai 'commenti autoriali' dello stesso Giustino (cioè quelle parti in cui l'epitomatore interviene personalmente), che forse avrebbero meritato una attenzione maggiore nella economia del volume. Lo specifico del contributo è però rappresentato dalla trattazione della guerra del Peloponneso, che nella epitome appare disarticolata in vari libri e rappresentata in maniera irregolare, con scarsa attenzione ai fatti di guerra, in particolare nel libro III che copre gli anni 431-415 a.C. La spedizione in Sicilia è trattata nel IV libro, e infine nel V libro assurge a protagonista la figura di Alcibiade. Nicolas Richer, "Le début du IVe siècle avat Jésus-Christ en Grèce d'après le livre VI de l'« Abrégé des Histoires philippiques » de Justin", pp. 166-196, tratta della rappresentazione in Giustino dei fatti della storia greca del IV secolo a.C., a cominciare dalla guerra condotta in Asia dagli Spartani, continuando con le vicende di Conone e della guerra corinzia. Segue quello che apparentemente è uno degli errori più macroscopici dell'epitomatore, un vero e proprio collasso dei fatti relativi alla riscossa tebana che culminerà nei fatti di Leuttra (371 a.C.) e Mantinea (362 a.C.), ma che in Giustino si trova saldato ad eventi anteriori di circa un ventennio. In questo caso l'autore, attraverso una sottile analisi, riesce in qualche misura a dipanare le notizie compresse riconducendole ad un plausibile contesto originario. Antonella Ruberto, "La Persia nel IV secolo e il libro X dell'« Epitome » di Giustino", pp. 197-231, tratta delle vicende persiane nel IV secolo a.C. esposte nel decimo libro dell'opera. Il libro consta solamente di tre capitoli, che trattano della successione al lungo regno di Artaserse Mnemone (404-359 a.C.), contrassegnata dalla tragedia del figlio prediletto Dario, che non soffrendo di vedersi privato dal padre della concubina Aspasia da lui chiesta in dono, ordì una congiura contro il padre e venne giustiziato. La versione di Giustino è in questo caso confrontabile con quella di Plutarco. La scansione degli eventi presenti nei prologi e nella epitome evidenzia alcune deliberate omissioni dell'epitomatore rispetto all'opera di Trogo. Franca Landucci, "Filippo II e le « Storie Filippiche »: un protagonista storico e storiografico", pp. 233-260, introduce la figura di Filippo II, re di Macedonia, che dopo aver dato il nome alle Storie composte da Teopompo, lo ha dato anche a quelle di Pompeo Trogo, per quanto vi siano state anche diverse interpretazioni del titolo. Anche in questo caso base della argomentazione è costituita dal confronto fra il sommario dei prologi ed il contenuto effettivo della Epitome. Ne risulta pertanto che, nell'ottica della translatio imperi, l'impero macedone fondato ad opera di Filippo è quello che ha poi maggiore spazio nell'economia generale dell'opera. Pertanto Filippo II è da considerarsi personaggio chiave nell'intendere la costruzione dell'intera opera di Pompeo Trogo. Conclude il volume il saggio di R. Vattuone, "Giustino e l'Occidente greco, I: VI-V secolo a.C.", che ritorna su questioni in parte già toccate nel contributo di Fantasia, in particolare in relazione all'intervento ateniese in Sicilia, secondo Giustino sollecitato dai Catinienses, notizia che non sembra degna di considerazione all'autore se non per smontarla e negare a Giustino lo status di fonte, anche quando in molti casi, ci fornisce notizie integrative di grande importanza, e non soltanto per la storia ellenistica. In appendice al libro non figurano apparati di alcun tipo e la bibliografia è riportata al termine di ciascun contributo. Si tratta di un'opera che presenta errori tipografici in misura non eccessiva.3 Il valore è ovviamente legato a quello dei singoli contributi, che presentano una complessità e una ricchezza di cui nella recensione non si è potuto dar conto, ma il cui rovescio rischia di essere in qualche caso quello della prolissità, togliendo in qualche modo all'autore antico uno dei suoi pregi maggiori.
Notes:
1. Il passo (Iustin. praef. 4), viene ripetuto anche da Fantasia (p. 126) e nel saggio conclusivo di Vattuone (p. 261).
2. In altri contributi si dà per assodato che Trogo sia romano originario della Gallia (p. 28), specificando una origine narbonense, oppure voconzia, senza che la questione venga affrontata espressamente in alcun luogo. Per quando riguarda la datazione dell'opera di Trogo, se ne ipotizza una composizione sous Auguste ou sous Tibère (p. 174) oppure, sulla scorta di Seel e Santi-Amantini, fra il 14 e il 30 d.C. (p. 227). Per quanto riguarda l'epitome di Giustino viene affermata una cronologia pertinente al III secolo d.C. (p. 226), ma anche, in altro luogo, al 200 d.C.
3. P. 16, 33a riga: ma che non; p. 33, nota 25: straboniana; p. 76, 19a riga 539; p. 117, 1a riga: tali; 29a riga: Plutarco); p. 143, 20a riga: una volta; p. 201, 29a riga: Eraclide; p. 246, 31a riga: analizzata; p. 265, nota 11: 317 a.C.; p. 272, 25a riga: c>ui. A p. 242 c'è un anacoluto.
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