Reviewed by Sergio Audano, Centro di Studi sulla Fortuna dell'Antico "Emanuele Narducci" – Sestri Levante (sergioaudano@libero.it)
Pierre Laurens, professore emerito alla 'Sorbonne' di Parigi, è notoriamente un grande esperto del Fortleben della letteratura latina, in particolare della sua ricezione nel variegato arcipelago della cultura rinascimentale francese ed europea, come testimoniato da una larga e autorevole produzione al riguardo, al cui interno è doveroso ricordare almeno il recente La dernière muse latine: Douze lectures poétiques, de Claudien à la génération baroque (BMCR 2010.01.41). Il monumentale volume qui recensito rappresenta la summa di questo fecondo metodo di ricerca e propone al lettore un percorso molto originale, come l'autore stesso ampiamente argomenta nella sua densa Préface (pp. 8-20, in particolare, alle pp. 18-20, il capitolo metodologico Ambition du présent livre). Come nel titolo è ben spiegato dall'aggettivo critique, questo libro non costituisce un manuale di storia letteraria nell'accezione 'classica', ma si propone di definire la storia del processo di costruzione della letteratura latina attraverso la dialettica, certamente feconda, tra rielaborazione critica di filologi, traduttori, studiosi 'professionisti' dell'antico e quanti, invece, si sono accostati ai grandi scrittori della latinità per un intento di rielaborazione 'creativa' (talora anche polemica), come poeti, romanzieri, drammaturghi. Il merito di Laurens, dunque, consiste nell'aver dipinto un grande affresco della diversa, e non sempre coincidente, rappresentazione dell'antico, derivante da approcci diversi, che spesso hanno seguito percorsi paralleli. Tra esegesi dei testi fondate su rigore scientifico (spesso scambiato per pedanteria), oppure loro riletture in chiave più artistica e soggettiva (a loro volta imputate di impressionismo e di scarsa aderenza filologica), non sono mancati, nel corso della storia, momenti di scontro o di incomprensione, ma Laurens è molto attento a cogliere le esigenze di entrambi questi accessus ai testi antichi, e a valutarne il reciproco contatto valorizzando, in modo particolare, le sintonie. In questo libro, quindi, la filologia si trova a dialogare strettamente con la poesia, secondo un assioma che non sarebbe affatto spiaciuto al Pfeiffer dell'History of Classical Scholarship. Il frutto più maturo di un simile percorso è l'elaborazione di un canone autoriale, che naturalmente può variare col passare del tempo, fino talora a pervenire, di volta in volta, a esiti molto diversi (si veda il giudizio di Leon Bloy, citato a p. 16, secondo cui «Tacite et Juvénal ne seraient quel es balbutiements humains de la langue que saint Jérôme a parlée divinement»). Giustamente lo studioso è molto attento anche a valorizzare il costante apporto generazionale nella determinazione dei vari riferimenti letterari: la letteratura di tradizione classicistica dialoga con i suoi modelli non in astratto e neppure sempre in nome di un riconosciuto e condiviso principio di auctoritas letteraria, ma sul fondamento della concreta contingenza culturale sollecitata dall'orizzonte di attesa del momento, col determinante contributo, pertanto, di ogni generazione di lettori che produce «un jugement qui ancre l'œuvre ancienne dans la modernité» (p. 19). Il fenomeno è facilmente ravvisabile nei momenti più forti della storia culturale: si pensi, ad esempio, allo straordinario processo intellettuale che fa seguito a grandi movimenti come il Rinascimento o il Romanticismo, ovviamente con esiti radicalmente diversi per quanto riguarda il rapporto con l'antico, ma in realtà ogni epoca (anche in anni ravvicinati) tende a privilegiare aspetti nuovi e peculiari di ogni singolo autore, sul piano formale quanto su quello dei contenuti, magari fino ad allora tenuti più in ombra o non valorizzati, o anche a riscoprire la ricchezza di intere età della storia antica (come il tardoantico, su cui per troppo tempo ha gravato il giudizio fortemente negativo di studiosi come Gibbon o Mommsen). Sulla valorizzazione di questi aspetti riscoperti si fondano, dunque, i presupposti per avviare una nuova lettura di autori, generi, periodi dell'antico, che si può definire giustamente 'critica', poiché non sono infrequenti i casi in cui sono proprio le suggestioni 'creative' a offrire nuova linfa al dibattito scientifico e filologico (si pensi, ad esempio, all'influsso suscitato dal romanzo di Hermann Broch, Der Tod des Vergil, che ha contribuito a modificare la percezione di Virgilio, fino agli anni della seconda guerra mondiale dipinto come il cantore dei destini imperiali di Roma). Ho volutamente esposto con una certa ampiezza i notevoli presupposti teorici che determinano, con piena coerenza, i contenuti di questo volume, che ora analizzeremo, in maniera più analitica, nella sua struttura. Proprio perché si distacca dalle tradizionali storie letterarie, la scansione dei materiali non segue il consueto ordine cronologico, ma rispecchia un principio gerarchico, funzionale alla rilevanza della ricezione del singolo autore e alla sua incidenza nell'elaborazione di nuove forme letterarie in età moderna; dopo l'ampia Préface, il volume si apre con la sezione, significativamente definita con espressione dantesca La bella scuola, che raccoglie i quattro nomi «qui n'ont jamais disparu de l'horizon, astres majeurs du 'ciel' de la littérature latine» (p. 20), Virgilio (pp. 23-48), Cicerone (pp. 49-68), Orazio (pp. 69-83) e Ovidio (pp. 85-105). La seconda, e assai ampia, parte raccoglie invece Les genres de la prose et de la poésie (pp. 106-418), che si articola in sei sezioni: L'Histoire (pp.109-176), La philosophie (pp. 177-211), La poésie dramatique (pp. 213-236), Le roman (pp. 237-255), La poésie (pp. 257-384), Épistoliers, orateurs et théorie de l'éloquence (pp. 387-418). Fa poi seguito la terza parte, La littérature technique et érudite (pp. 419-525), equamente suddivisa tra La littérature technique (pp. 421-480), che, partendo dall'enciclopedia di Plinio il Vecchio, spazia su architettura, astronomia, geografia, medicina, agricoltura, cucina e diritto, e L'érudition (pp. 481-525). La quarta parte, Fragments de littérature (pp. 527-578), è costituita da un'ampia e variegata miscellanea di autori e generi, in larga misura frammentari. La categoria di 'frammento' acquista in questo capitolo una valenza semantica più complessa, riferendosi non solo ad autori giunti in forma frammentaria, a iniziare dagli epici arcaici, ma anche ai pochi testi sopravvissuti per intero in rappresentanza di generi che erano praticati con una certa estensione (ad esempio i centoni pagani e cristiani in età tardoantica: cfr. pp. 571-573). Il volume è poi chiuso da un sintetico Épilogue (pp. 579-581), che riepiloga le riflessioni metodologiche più significative: particolarmente interessante, a p. 580, è l'analisi dei modi in cui l'antico è stato variamente percepito nel corso del tempo, dalle forme di 'appropriazione', tipiche della cultura medievale (e in questo contesto la citazione dantesca di apertura trova la sua pienezza di senso, poiché Dante opera in spirito di sostanziale 'continuità' con i grandi predecessori del passato), alla distanza propria della 'neutralità' scientifica, a partire dalla presa di coscienza di un metodo storicistico in età umanistica (e lo stesso percorso è rintracciabile anche nella dimensione artistico-creativa: non a caso a p. 581 Laurens richiama le note riflessioni sul 'classico' di Italo Calvino). Seguono poi quattro ricche ed erudite Appendices: la prima (pp. 585-593) è costituita dalle liste delle editiones principes; la seconda (pp. 595-602) dall'elenco dei principali commentari 'storici', che hanno offerto un reale contributo alla ricezione del patrimonio antico (per fare un esempio, dal Seneca e Tacito di Giusto Lipsio fino al VI dell'Eneide di Norden; stupiscono, tuttavia, alcune assenze, come l'edizione lucreziana di Denis Lambin); la terza (pp. 603-615), con esempi di traduzione comparative, ad opera sia di filologi sia di poeti e scrittori (molto interessante, alle pp. 613-165, il catalogo delle versioni di un breve epigramma di Marziale, I 35, da Marot del 1544 a quella dello stesso Laurens nel 1989), mentre la quarta e ultima (pp. 617-622) è dedicata alla Chronologie. Il volume è, infine, concluso dagli Indices, quelli degli autori antichi e medievali (pp. 625-630), degli autori anteriori al XX secolo (pp. 631-637) e degli autori dei secoli XX e XXI (pp. 639-646). Ogni profilo è concluso da un Aperçu, una breve sequenza antologica che in maniera significativa inquadra le principali tematiche di ogni autore, invitando il lettore a una più approfondita lettura personale. Nel breve spazio di questa recensione sarebbe impossibile discutere singoli punti, in modo particolare quelli riguardanti la caratterizzazione di ogni autore. Come sovente capita con i grandi libri di sintesi, soprattutto quando sono espressione di un singolo studioso dalla forte personalità scientifica, il ritratto di un poeta o di uno scrittore riflette, in maniera marcata, preferenze e idiosincrasie del tutto personali, che sarebbe insensato discutere con altrettanta soggettività. Ci sono indubbiamente ritratti di ottimo livello, come quello di Ovidio, di cui Laurens, con grande raffinatezza critica, mette nella giusta evidenza «sa pénétration psychologique et mieux, sa tendresse et sa compassion pour la souffrance amoureuse» (p. 97); nella prosa ho avuto modo di apprezzare soprattutto le pagine su Tacito: la grandezza dello storico trova la sua massima espressione quale 'Thucydide latin' grazie al giudizio di Mar Antoine Muret, formulato nell'oratio II del 1580, che aprirà poi la strada a Pascal e a Lipsio e, possiamo aggiungere, alla diffusione pervasiva del 'tacitismo' nella cultura storica e politica dell'intero '600. Nelle pagine su Tacito emerge con nitore la capacità di Laurens di porre abilmente in dialettica il percorso tra antico e moderno, ma anche il suo contrario: la fortuna di un autore, soprattutto se della statura di un Tacito, contribuisce ad approfondire al meglio la complessità e la variegata sfaccettatura della sua personalità. La qualità delle letture compiute in età successive ha spesso la capacità di aprire nuovi orizzonti di studio e di riflessione, che riguardano e investono l'autore in sé, in una prospettiva che è appunto pienamente 'critica'. Non sempre questo risultato è raggiunto in maniera uniforme: a mio giudizio, alquanto debole è il ritratto di Lucano (Laurens sembra purtroppo ignorare i notevoli lavori di Emanuele Narducci su questo poeta: il suo antiteismo, la volontà di costruire un'epica 'contro' l'impero, svelando dall'interno i meccanismi distruttivi del potere), sottratto dalla 'Bella Scola' dantesca e inquadrato con troppo compiacimento nel solito cliché «du style baroque et maniériste» (p. 266), così come Giovenale appare forse troppo appiattito sul consueto paradigma dell'indignatio, che, per quanto indubbio e potente stimolo alle riletture di età moderna, rischia di essere troppo unilaterale nella valutazione di un poeta così complesso e sofisticato. E, più in generale, toglie talora efficacia la distinzione di un singolo autore tra generi letterari: l'interscambio tra Seneca filosofo e tragico, ad esempio, rimane spezzato, indebolendo la presa che la sua figura, in modo unitario, ha esercitato sull'immaginario dei secoli successivi. I percorsi proposti da Laurens sono spesso legati alla cultura francese, ma il respiro di questo volume è davvero ampio, anche a fronte di qualche rilievo, che nulla toglie all'originalità del progetto, al modo in cui è stato realizzato, ai risultati cui è pervenuto. E questo volume, di cui è appena uscita l'edizione italiana preceduta da una densa intervista dello stesso Laurens al più diffuso quotidiano italiano, il 'Corriere della Sera', deve necessariamente trovarsi nella biblioteca di ogni antichista studioso di Fortleben, ma anche di quei modernisti attenti a cogliere i rapporti più significativi con una tradizione, come quella greco-latina, spesso contestata, talora vilipesa, ma mai ignorata.
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