Reviewed by Biagio Santorelli, University of Florida (b.santorelli@ufl.edu)
Il ricco Virrone offre un banchetto e vi invita anche il povero cliente Trebio. Questi accorre entusiasta, ma la cena avrà da offrirgli soltanto umiliazioni: il patrono predisporrà due diversi 'menus', riservando a sé le pietanze più raffinate, al cliente solo cibi d'infima qualità. La cena diventa così emblema della degenerazione dell'istituzione clientelare; di qui l'esortazione al cliente, perché abbandoni una condizione di vita improduttiva quanto umiliante. Questo, in sintesi, il quadro della satira 5 di Giovenale, di cui Yvan Nadeau propone un saggio interpretativo: un volumetto ricco di spunti, che indaga in una nuova prospettiva l'intento e il referente satirico del componimento. Il volume è articolato in dodici capitoli (A-L), al cui ordine mi atterrò nel ripercorrere il discorso dell'autore. Una breve introduzione (A) espone la tesi fondamentale del volume: nella satira 5, Giovenale intenderebbe sovvertire la concezione tradizionale dell'amicitia che avrebbe legato i membri del circolo di Augusto, attingendo ai versi di Orazio per fare del poeta e del princeps i propri bersagli. Il discorso muove dall'analisi dei vv. 1-11 (B), soffermandosi inizialmente sulla relativa persona loquens (§1). Nadeau ripropone l'uso, introdotto nel suo commento alla sat.6,1 di indicare con «Giovenale» il Giovenale 'storico', con «Giunio» lo 'speaker' della satira; la questione della vicinanza tra i due viene qui impostata, ma le conclusioni sono rimandate al termine del volume, così come ogni altra riflessione sul profilo (§2) e la 'filosofia' (§3) del destinatario. Ciò che qui si mostra chiaramente è l'«intertestualità augustea» su cui l'esordio della satira è costruito. Già i precedenti commenti avevano individuato in questi versi la presenza di reminiscenze oraziane e virgiliane, ma Nadeau ne propone ora una lettura d'insieme (§§4-8). Il primo testo oraziano preso in considerazione è epist.1,1 (C): dopo una riflessione preliminare sulla struttura dell'epistola (§§9-10), l'autore si sofferma sul senso della recusatio della persona loquens (ancora «Quinto» vs. «Orazio») (§§11-14), approfondendo quindi la dimensione filosofica di tale scelta (§§15-23). Con il rifiuto di «Quinto» a comporre nuovi carmina per Mecenate, Orazio sostiene di voler abbandonare la precedente filosofia di vita parassitaria, da seguace di Aristippo, in favore di una nuova attitudine filosofica d'orientamento stoico. In tal senso «Quinto» sostiene di aver ormai cambiato proposito di vita (1,1,4 non eadem est mens); «Orazio», tuttavia, continuerà a comporre versi in lode di Mecenate e Augusto, ed è proprio a questa discrepanza che Giovenale guarda quando, rappresentando un cliente che non sembra ancora intenzionato ad abbandonare la propria condizione, rovescia la rivendicazione di «Quinto» (5,1 Si te propositi nondum pudet atque eadem est mens). Prende quindi corpo l'ipotesi di una connessione tra «Quinto» e l'interlocutore di Giovenale (§24); l'intero discorso giovenaliano, in tal senso, si configurerebbe come la 'reprimenda' di un cinico contro un aristippeo pervicace (§25). Questo contrasto è approfondito alla luce di epist.1,17 (D). A parlare è qui un esperto aristippeo, che indica a un amico la via per diventare a sua volta un «parassita qualificato» (§26-29); una via che consente di tenersi lontani, in particolare, dalla vita da mendicante del cinico (§§30-34). Nel rimprovero di «Giunio» al cliente che preferisce la condizione del parassita a quella del mendicante (5,3-11), quindi, «Giovenale» non starebbe facendo altro che usare il «Quinto» di epist.1,17 contro quello di epist.1,1 (§§35-37). La presenza in Iuv. 5,2s. di un riferimento a Sarmento, cliente di Augusto, induce al confronto con Hor. sat.1,5, dove lo stesso personaggio è protagonista di una contesa con Messio Cicirro (E). Nadeau ritiene di poter ricostruire una certa corrispondenza tra il profilo biografico di Orazio e quello di Sarmento, corrispondenza che Giovenale avrebbe a sua volta distorto (§38): in quest'operazione, tuttavia, Nadeau concede troppo credito allo scolio giovenaliano ad loc., che andrà più verosimilmente considerato un autoschediasma derivato proprio dai versi oraziani.2 L'ultima questione relativa all'exordium di Iuv. 5 riguarda il v.5 quamvis iurato metuam tibi credere testi: il problema fondamentale è stabilire cosa abbia a che fare con la vita clientelare questo riferimento al testimone spergiuro (§39). Nadeau ritiene che l'espressione celi un riferimento alla figura del parassita captator e, in particolare, a sat.2,5. Qui Tiresia indica a Ulisse, come via maestra per una facile ricchezza, l'arte della captatio, tra i cui espedienti rientra lo spergiuro in tribunale (2,5,27-31). Nadeau ritiene che da questo consiglio derivi il timore di «Giunio»: se il suo interlocutore può sopportare le umiliazioni della vita clientelare, allora potrebbe essere pronto anche a seguire il suggerimento di Tiresia. Degli spunti intertestuali sin qui indicati, quest'ultimo mi pare il meno stringente: un tale collegamento richiede una catena di associazioni troppo lunga e indiretta, e personalmente dubito che, in mancanza di un chiaro «segnale testuale», un lettore avrebbe potuto spingersi tanto indietro. A mio avviso, l'interpretazione del verso non può prescindere dal valore idiomatico dell'espressione («non ti crederei nemmeno sotto giuramento»); la connessione con la situazione del parassita, poi, è evidente alla luce dell'intera satira: che un cliens possa essere felice della propria condizione, senza vergognarsene e continuando a considerare bona summa i maltrattamenti del patrono, è idea tanto inverosimile che, se qualcuno volesse sostenerla, andrebbe guardato come un testimone di sospetta attendibilità. Con il §46 Nadeau ricapitola il discorso sin qui proposto, offrendoci occasione per un parziale bilancio. Le conclusioni tratte dall'interpretazione di Iuv. 5,1-11 sono: 1) «Giunio» è portavoce del punto di vista cinico, una sorta di Diogene, mentre il destinatario appare come un seguace di Aristippo. Una simile polarizzazione può essere utile a comprendere le istanze 'filosofiche' in gioco, ma personalmente eviterei di estremizzarla: Giovenale ostenta sempre disinteresse per la filosofia e per le specificità delle diverse scuole,3 e le sue competenze in materia, d'altra parte, si limitavano probabilmente alle theseis filosofiche incontrate nel corso degli studi declamatorî.4 Trovo improbabile, quindi, che l'esordio della nostra satira possa essere fondato su una contrapposizione di punti di vista filosofici: invitando il cliente ad abbandonare la vita parassitaria e darsi piuttosto all'accattonaggio, a mio avviso, Giovenale sta più semplicemente mettendo in campo una strategia 'dissuasoria' analoga a quella di 6,25-37, dove esorterà un promesso sposo a suicidarsi, o a trovarsi un amasio, piuttosto che mettere in pratica i suoi propositi matrimoniali. 2) I collegamenti intertestuali con Orazio consentono di individuare analogie tra la situazione della mensa di Virrone e quella della cerchia di Augusto, e tra il Trebio di Giovenale e l'Orazio di Satire ed Epistole. Trovo che la più felice intuizione di Nadeau sia l'aver sfruttato l'«intertestualità augustea» per offrire una chiave di lettura dell'exordium della satira: in apertura di un componimento dedicato alla degradazione dei rapporti clientelari, Giovenale evoca il più celebre paradigma di amicitia, affettiva e politica al contempo, tra uomini di diverso rango sociale; e per rappresentare un cliente pervicace, allude al proposito (irrealizzato) di «Quinto». Non ritengo, tuttavia, che da ciò si debba dedurre che l'intento di Giovenale fosse l'attacco a Orazio/«Quinto». L'intera sat. 5 è ricca di relazioni intertestuali non solo con Orazio, ma anche con Virgilio,5 Ovidio6 e soprattutto Marziale,7 senza che ciò comporti alcun intento polemico nei loro confronti: Giovenale, piuttosto, attinge materiali e stilemi dai propri modelli, valorizzandoli nella prospettiva più utile al proprio disegno satirico. Un disegno più ampio di un episodico 'attacco' a Orazio, e che può essere compreso solo alla luce dell'intero libro I: in sat. 1 (programmatica dell'intero libro) Giovenale espone l'intollerabile degradazione della clientela; in sat. 3 (componimento centrale e più ampio del libro) mostra di approvare la scelta di un cliente che, incapace di continuare a vivere in una tale abiezione, abbandona Roma per una nuova vita in provincia; in sat. 5 (conclusione del libro) si rivolge a un cliente che fa la scelta opposta, e continua ad accettare ogni sorta di umiliazione. Evidenze interne ed esterne8 lasciano intendere che il Giovenale 'storico' dovette condividere a lungo una tale sorte: il destinatario di Iuv. 5, incapace come «Quinto» di mutar proposito, non assomiglia dunque a «Orazio» più che a «Giovenale» stesso. Anzi, per restare fedeli alla terminologia di Nadeau, più che attaccare «Quinto»/«Orazio», in questa satira «Giunio» sta forse parlando a «Giovenale».9 Nadeau salta quindi alla conclusione della satira (vv. 156-173) (G): è questa forse la scelta meno condivisibile nel volume, che rinuncia non solo a una lettura della satira 5 nel contesto del libro I, ma anche a un'interpretazione davvero complessiva di questo singolo componimento. Concentrandosi sui vv. 170-173 (Omnia ferre / si potes, et debes. Pulsandum vertice raso / praebebis quandoque caput nec dura timebis / flagra pati), Nadeau vi individua un «evidente» riferimento a un abuso sessuale patito dal cliente: «Juvenal is referring to the patron forcing his prick into the client's mouth»; sessuale sarebbe anche il valore di omnia…pati e dura…flagra (H). Giovenale, tuttavia, sta qui rappresentando un cliente che, pur di continuare a vivere delle elargizioni del patrono, si umilia al punto da offrirsi spontaneamente alle percosse che sono tipiche delle stupidus del mimo e del parassita della commedia (metafora preparata dai vv.156s. Hoc agit ut doleas; nam quae comoedia, mimus / quis melior plorante gula?). L'interpretazione sessuale di questi versi è a mio avviso ingiustificata, e la lunga trattazione sulle umiliazioni sessuali del cliente (§§48-67) non mi sembra avere punti di contatto stringenti con la nostra satira. I capitoli J e K individuano ancora due luoghi in cui Giovenale rovescerebbe altrettanti spunti oraziani. Il primo è ai vv. 20-23, dove la presentazione del cliente ansioso di presentarsi per primo alla chiamata del patrono potrebbe essere ricalcata su Hor.sat.2,6,23-26; il secondo a 133-145, dove l'allusione al dono di 400.000 sesterzi da parte di un dio o di un similis dis / et melior fatis…homuncio potrebbe alludere allo status che Orazio aveva conquistato servendo sotto Bruto, e che la generosità di Mecenate e Augusto aveva corredato delle necessarie proprietà. È possibile che Giovenale avesse qui in mente Orazio; anche in questi casi, tuttavia, penserei all'utilizzo di un immaginario (anche) oraziano nell'ottica del discorso complessivo sulla clientela, piuttosto che a un deliberato intento di rispondere a «Quinto» o contraddire «Orazio». Giungiamo così alla conclusione (L), dove le tesi sin qui esposte tornano arricchite da nuove considerazioni. Una di queste riguarda il profilo di «Giunio», presentato come un moralista cinico, votato alla censura di tiranni e parassiti mediante l'attacco a Orazio e Augusto. Alle riserve già esposte in proposito, mi limito qui ad aggiungere che le testimonianze di Marziale (sorprendentemente escluse dal discorso di Nadeau) dovrebbero indurci a ipotizzare, se non una perfetta coincidenza, almeno una grande vicinanza tra «Giunio», «Giovenale» e il suo interlocutore. Nadeau ritiene che gli attacchi a Orazio e Augusto possano essere letti in senso più generale, e parlare anche al Cesare del tempo di Giovenale (Traiano?Adriano?); a mio avviso, invece, Giovenale intende rivolgersi soprattutto ai clientes del suo tempo, quei clientes con cui lui stesso aveva molto in comune. Al netto di giudizi e valutazioni personali, il volume colpisce per l'ampiezza delle fonti primarie chiamate in causa e l'attenzione nell'individuare collegamenti intertestuali che a prima vista potrebbero sfuggire. Ne risulta un'opera ricca di stimoli e suggestioni, che ha il merito di suscitare riflessioni su elementi lasciati ai margini dell'attenzione nei tradizionali commenti. Manca uno sguardo più complessivo sulla satira esaminata e sul suo contesto, ma forse proprio la lettura di questo volume potrà ispirare nuove ricerche in tale direzione.
Notes:
1. BMCR 2012.09.19.
2. Sul punto cf. B. Santorelli, Giovenale, Satira V. Introduzione, traduzione e commento, Berlin-Boston 2013, 54s.
3. Cf. Iuv. 13,120-123 Accipe quae contra valeat solacia ferre / et qui nec Cynicos nec Stoica dogmata legit / a Cynicis tunica distantia, non Epicurum / suspicit exigui laetum plantaribus horti.
4. Cf. S. F. Bonner,Roman Declamation in the Late Republic and Early Empire, Liverpool 1949, 2-11.
5. Iuv. 5,44s. ~ Verg. Aen. 4,36; 261s.; Iuv. 5,101 ~ Verg. Aen. 1,52-54; Iuv. 5,125 ~ Verg. Aen. 8,264s.
6. Iuv. 5,22s.~ Ov. met. 10,446s.; Iuv. 5,141 ~ Ov. met. 12,262-264.
7. Cf. Santorelli, cit., 19-25.
8. Nel corso del libro I, Giovenale mostra di conoscere nel dettaglio la vita degli sfortunati clientes del suo tempo, tradendo una certa solidarietà nei loro confronti; Marziale, poi, rappresenta l'amico satirico proprio nelle stesse condizioni dei suoi clienti (12,18,1-6).
9. Cf. Santorelli, cit., 15-19.
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