Response by Lucio Cristante, Università di Trieste (cristant@units.it)
Riprenderò le osservazioni principali fatte da Shanzer per ristabilire la oggettività dei dati presentati in modo scorretto1 o superficiale (forse anche a causa di una frettolosa intelligenza del dettato italiano: qui note 3 e 19). L'esposizione, anche se cursoria, mi permetterà di richiamare alcuni "fondamentali" del mestiere del filologo che, al di là del tono saccente, sembrano disattesi o estranei alla prassi del recensore. 1. Il testo latino di Marziano da noi stampato non è una edizione critica (p. VII), né una "virtual edition", ma neppure "a composite text" risultante da "a collation of Willis' and Dick's texts": abbiamo scritto (ibid.) che il testo proposto è "criticamente rivisto sulla scorta degli apparati delle edizioni esistenti […] e di verifiche autoptiche sui manoscritti". Willis (1983) e Dick (1925) rappresentano il riferimento da cui ci discostiamo rispettivamente in 134 e 118 casi (vd. "Prospetto comparativo" p. LXXXV-XCIV): troppi per assumere l'una o l'altra edizione come base diretta del nostro testo e confinare in nota le diversità di lettura.2 Di tutti gli interventi e congetture, come della difesa delle lezioni Shanzer, è dato conto nelle note di commento, ivi compresa la correzione uirago per uertigo a 2.170 di Shanzer accolta da Willis e inclusa nella colonna relativa del "Prospetto", correttamente attribuita e documentatamente rifiutata a p. 324. Da qui l'accusa di opacità sull'"ontological status" delle congetture: è falso affermare che la "conjecture" uirago è attribuita a Willis "with no further clarification (324)"; lo stesso vale per cunctamento di Grotius a 1.6.3 2. "The text is deeply conservative". Il nostro "conservatorismo" è interpretato da Shanzer "presumably a backlash against Willis", cui si associa ("and perhaps myself").4 Forse è il caso di ribadire che compito del filologo è quello di intervenire sul testo dopo avere provato a spiegare la tradizione manoscritta (e l'esegesi del testo abbiamo dichiarato come obiettivo primario del nostro lavoro, p. VII). Solo quando la tradizione è "assurda" o presenta incongruenze inspiegabili, allora si dovrà ricorrere a "diagnostic conjectures" ("humbly but constructively", appunto!). La tradizione di Marziano è saldamente unitaria anche se contaminata, ma non "mendosissima" come continua a sostenere Shanzer (sulla base della subscriptio di Securo Felice [ex mendosissimis exemplaribus emendabam]?).5 L'onere di dimostrare che la paradosis è "hopeless" compete a chi la ritiene tale: noi abbiamo sempre spiegato il PERCHÉ la conserviamo (dove Shanzer accetta le congetture di Willis). Non si tratta di "profound philosophical differences" che, sul testo di Marziano, dividerebbero "the Italian team […] from the Anglo-American tradition" (differenze inesistenti se solo avessimo accettato sistematicamente gli interventi sul testo di Willis+Shanzer),6 ma di elementari principi di esegesi e di ecdotica noti anche agli studenti di ogni latitudine e continente che escludono qualsiasi conflitto di culture! 3. Quanto ai rimproveri di ignorare (anche volutamente) la bibliografia ribadisco quanto scritto a p. 248: abbiamo programmaticamente utilizzato e citato tutti i "contributi che contengono novità per l'esegesi e/o ulteriore documentazione utile alla disamina dei problemi discussi". Su questo, al di là della polemica, Shanzer rivela l'atteggiamento di chi, più che sull'analisi diretta del testo, si arrocca dietro la bibliografia: un problema per Marziano sul quale negli ultimi decenni si è addensata una discreta quantità di titoli ma non sempre progressi epocali;7 da qui l'accusa (evocando "nevi e guerre passate" e "cavalli morti") di non esserci accorti che le cose sono cambiate nella rivalutazione dell'autore,8 immaginiamo a partire dal suo commento, posto come termine di partenza e di riferimento per tutta la ricerca su Marziano ("in 1986 I argued"; "my discussion"; "my argumentation"; "from Grotius' to my own").9 Definire "important omissions" i titoli citati in nota 12 temo si possa spiegare perché nell'elenco Shanzer include anche se stessa (Augustine's Disciplines: Silent diutius Musae Varronis?, 2005: 69-112) autorivendicando, con tratto di modestia, il ruolo "relevant" che avrebbe per le p. "lv,lxvii-ix and 271". Ancora un caso di (in)sofferenza per non vedersi citata: ma per tutte le argomentazioni di Shanzer sulle artes liberales può bastare il rinvio alla severa censura di Ilsetraut Hadot (Arts libéraux et philosophie dans la pensée antique, Paris 20052, 363-372). Non abbiamo mai pensato che "Martianus has been going to hell in a hand basket since Kopp 1836", ma che Kopp, con tutti i suoi limiti, si preoccupa di spiegare il testo, difficilissimo, e resta ancora l'unico commento all'opera intera.10 Nostro scopo è stato quello di riesaminare la profluvie di interventi sul testo per risolverne oscurità (vere e presunte), per adeguarne la complessità linguistica e stilistica a uno standard grammaticale di "purgata" latinità.11 Ripeto quanto scritto a p. IX, e cioè che il volume è "provvisorio" e che la stessa introduzione seleziona alcuni problemi che saranno discussi (con l'esame della bibliografia) nel volume generale in preparazione quando disporremo del commento a tutti i nove libri. Solo una esegesi complessiva permetterà di rendere ragione della multiforme unità del testo. Una introduzione si scrive solo alla fine (anche per beneficiare di rilievi, correzioni, etc. di recensori - anche malevoli - purché ponderati e costruttivi. 4. Datazione. Non abbiamo proposto alcuna datazione. L'ipotesi da noi accolta, e presentata come tale ("Indicazioni per una datazione?", p. LVIII-IX),12 indica il 439 come possibile termine ante quem per la composizione dell'opera (prima della conquista di Cartagine da parte dei Vandali) e non coincide con quanto Shanzer ha sostenuto (1986,13), cioè che Marziano è contemporaneo di Draconzio, di Reposiano e dell'Aegritudo Perdicae13 e quindi da collocare in piena epoca vandalica intorno al 480. Prima di esaminare la questione vorrei ribadire, in termini di metodo, che indicazioni cronologiche meno imprecise sull'opera (e sull'autore) potranno venire ancora una volta dal testo stesso (qui 4b-c) piuttosto che da elementi esterni come la datazione (e la identificazione) di Fulgenzio (che cita e imiterebbe lo stile di Marziano), oggi ulteriormente abbassata da Hays 2003 (di cui ci è puntualmente rimproverata l'omissione), rispetto a Helm (che ne faceva un contemporaneo di Draconzio), e da Hays 2004, 102,14 per il quale Fulgenzio (che imiterebbe Corippo) ha scritto le Mitologie subito dopo il 550, ma non più tardi del 642). Ma perché allora non è ripreso in considerazione Cassiodoro, che pure cita l'enciclopedia marzianea (inst. II 2.17 e 3.20), le cui coordinate cronologiche sono più definite di quelle fulgenziane. a) Sulla datazione della subscriptio di Securo Felice e sulla sua distanza cronologica dalla pubblicazione del De nuptiis confermo che preferisco continuare a sbagliare con Cameron (che la fissa al 498) piuttosto che seguire Shanzer fra "contemporaneità" dell'autografo, "early witnesses" e improbabili gare di "schiacciate" ("slam dunk") per avvicinare la sottoscrizione all'autografo datato al 480. Secondo Cameron il deterioramento del testo, dichiarato dalla subscriptio, deve essersi prodotto nello spazio di diversi decenni, tanto da giustificare una sorta di correzione ufficiale,15 parziale o completa che sia, che è parte ineliminabile della storia del testo. Ciò porterebbe a collocare la composizione dell'opera non dopo il 450. L'ovvietà oracolare di Shanzer ("The issue is not intervening time, but the quality of first copyings") non dimostra il contrario, mentre il processo di emendazione è dichiarato e storicamente circoscritto. b) Per Shanzer la data del 480 per la pubblicazione dell'opera è fissata sulla scorta di singole analogie di lessico in Draconzio, Reposiano, Marziano Capella, Antologia salmasiana (88R.=76Sh.B.) e Aegritudo Perdicae che renderebbero questi testi contemporanei "under the Vandals in the later 5th C.".16 Gli elementi addotti da Shanzer per dimostrare la loro interdipendenza continuano a non sembrarci "probanti" in quanto perfettamente reversibili (come spiegato nella nota ad l.). Ad es. la presenza del nesso ore micat/micans in nupt. 1.1 e Romul. 6.58 (pur riferito a Cupido) non prova alcun legame diretto fra i due testi PERCHÉ si tratta di un nesso diffuso in poesia almeno a partire dagli Aratea di Cicerone (vd. p. 97).17 Non è questa la sede per discutere il problema dei passi paralleli ai fini della datazione: la natura del testo e il tipo di "operazione culturale" realizzata da Marziano ci devono rendere cauti ed esigere indagini sistematiche prima di trarre conclusioni. c) Che proconsulare culmen (9.999), anziché il palazzo del proconsole sulla collina di Byrsa a Cartagine, possa indicare "bureaucratic honorifics […] (e.g. prefectures and consulships"), è cosa possibile (ma resta da spiegare perché proprio proconsulare), come pure è possibile che culmen ("de summo monte": ThlL 4.1292.21 ss.) faccia riferimento alla stessa Byrsa (che sia "occasionally" indicata con arx non è una prova per escluderlo). Che si possa continuare a evocare/rivolgersi all'autorità del proconsole (o, metaforicamente, alla sua sede) sotto i re vandali (dal 439) è in ogni caso molto meno probabile. Ma ecco la soluzione secondo il metodo filologico (non "conservativo") di Shanzer: "The text is probably corrupt". In realtà la tradizione è in sé ineccepibile sia dal punto di vista del metro, sia del senso (soprattutto nel contesto del criptico finale autobiografico). Per chiudere sull'argomento: non condividiamo con Shanzer la fortuna ("fortunately") di riconoscere la prova della data da lei ipotizzata, "with a full bibliography",18 nelle pagine della Tommasi (Napoli 2012, 19-32), che presentano singolare coincidenza con le sue argomentazioni e conclusioni.19 Che il discorso sulla datazione debba essere ripreso dopo la pubblicazione della Metrica dell'oxoniense Additional C 144, attribuita a Marziano da De Nonno, è nostro dichiarato proposito (p. LXXV nota 84), non una posizione "curiously skeptical" sulla paternità del trattatello (per la quale, in ogni caso, si dovrà attendere l'uscita del vol.).20 5. Sui rilievi al commento e su alcuni esempi di esegesi secondo il "metodo Shanzer" vd. osservazioni aggiuntive nel blog. Qui mi limito a invitare il recensore all'uso degli strumenti di prima consultazione per non incorrere in infortuni imbarazzanti sui fatti linguistici21 e a rassicurarla che il nostro dissenso è ispirato soltanto dalla preoccupazione di spiegare il testo, registrando sempre le ragioni (di cui nega l'esistenza: vd. i casi citati delle p. 112,306,317). Ci interroghiamo se gli "immensi progressi" negli studi su Marziano siano quelli che traspaiono dal tenore critico di questa recensione. Della pertinenza di un solo rilievo (nota 5) diamo atto a Shanzer: nugales ineptias (da lei accolto per nugulas ineptas di 1.2), non è sua "doppia emendazione" (p. 100) perché ineptias è variante della tradizione e nugales è proposta di Dick. Shanzer ci ricorda che "Wissenschaft […] is the profession in which one's work is meant to be superseded, surpassed, and outdated".22 Per questo ci attendiamo qualcosa di più dalla annunciata recensione nelle WS; almeno l'indicazione dei refusi che ci permetta di migliorare la nostra edizione "provvisoria": con queste premesse non credo ci si possa aspettare altro.
Notes:
1. A partire dal titolo del vol. (privato di uno degli autori a nome dei quali rispondo) che è: Martiani Capellae De nuptiis […] libri I-II. A cura di L. Cristante. Traduzione di L. Lenaz. Commento di L. Cristante, I. Filip, L. Lenaz. Con un saggio inedito di P. Ferrarino […]
2. Va da sé che qualunque testo si dia di un autore già edito non potrà discostarsi più di tanto (anche se qui i casi sembrano piuttosto numerosi, senza contare la punteggiatura) da quello degli editori precedenti, a meno che non si voglia ricreare ope ingenii il testo dell'autore. Gratuito che, per noi, "'stato della tradizione' means essentially Dick's edition!".
3. Affermare che nelle note "sometimes […] the source of a conjecture is unclear" (a proposito di 2.215 Platoni di McDonough e Lenaz 1975), fa parte dei casi di insufficiente comprensione del dettato italiano (già di Lenaz 1975); vd. ancora nota 19.
4. Le congetture della coppia W.+S. effettivamente sono da noi per lo più rifiutate per ragioni filologiche sempre espresse nelle note.
5. Vd. sub 4.
6. Quelli da noi proposti vanno però rifiutati (nota 26: ma in Shanzer il PERCHÉ manca!).
7. Shanzer ritiene che "immense progress was made by Robert Turcan's dissertation, by Lenaz's commentary, and by James Willis' 1983 Teubner edition".
8. "Hell no! Martianus has come a long way, baby".
9. Il nostro silenzio sulla traduzione italiana delle Nuptiae ricordata da Shanzer (nota 9) si fonda sull'analitico esame di Schievenin (2003 = Nugis ignosce lectitanShanzer Studi su Marziano Capella, Trieste 2009, 175-184 (dspace/handle/10077/3416), da Shanzer, con una certa impudenza, giudicato "sommario". Non si tratta di "damnatio memoriae" (Shanzer non ignora certo il giudizio sulla qualità scientifica della ingeniosa coqua espresso da M. Tardieu, Apokrypha 19, 2008: 292-303). Non abbiamo avuto modo di citare neppure le traduzioni di Hans G. Zekl, Würzburg 2005 e di Violante Di Natale, Dédale 11/12 (2000): 454-510 (ma non ci è imputata l'omissione). L'accusa di avere omesso "Willis' many textual critical articles on the De Nuptiis" (nota 23) sembra ignorare che tutti i contributi di Willis sono confluiti nell'edizione (che conserva i singoli rinvii bibl. in apparato).
10. Vogliamo sperare che Shanzer non consideri alla stregua di una traduzione filologicamente supportata e di un commento la pionieristica (ancorché meritoria) operazione di Stahl - Johnson - Burge (1971, 1977) qui esplicitamente ricordata.
11. I vol. della Collection Budé non sono citati perché edizioni di singoli libri (IV,VI [omesso da Shanzer], VII [nel 2011 si è aggiunto anche il IX]) che non affrontano problemi relativi ai libri I e II (sul IV ho pure pubblicato una scheda in CR 59, 2009: 304-5).
12. Formulata da Schievenin, "Marziano Capella e il proconsulare culmen" (1986), = 2009, 157-173.
13. Sulle ragioni vd. infra.
14. In A. H. Merrills (ed.), Vandals, Romans and Berbers. New Perspectives in Late Antiquity North Africa, Aldershot 2004, 101-132 (non cit. da Shanzer).
15. emendabam […] Romae ad portam Capenam cons. Paulini v.c. die Non. Martiarum.
16. Anche su Reposiano mi arrivano ora gli strali per avere trascurato (nella mia edizione del 1999) la sua "discussion" (sempre la stessa!) sulla datazione e per considerarlo imitato da Draconzio. Resto convinto che anche Marziano riutilizzasse Reposiano.
17. Ulteriore esempio di lettura frettolosa del nostro testo: "My argumentation is swatted aside in the commentary […] 'non sembrano probanti.' Where is the 'because …' that we regularly exhort our graduate students to include?".
18. Dove però sembra 'dimenticata' la traduzione italiana cara a Shanzer (vd. nota 9).
19. Il commento sarebbe "multivocal" perché definisce Simposio vissuto "probabilmente […] durante il regno vandalico, e dunque contemporaneo o di poco posteriore a Marziano": non buona comprensione dell'italiano, come a nota 32 dove il nesso "ripreso" da Verecondo Iuncense e Mario Vittore (p. 116) presupporrebbe che questi autori conoscano Marziano e quindi da prendere in considerazione ai fini della datazione! Imbarazzante è la supposta incongruenza fra traduzione ("mezzo addormentato") e commento di nictantis di 1.2 (p. 100), dove non è colta la spiegazione del valore allusivo di nictare (degli occhi di un assonnato) rispetto al tecnico skardamyttein per indicare l'esercizio dei sacerdoti egizi di vegliare senza "battere le ciglia".
20. L'amico Mario De Nonno mi comunica l'imminenza della pubblicazione (di cui mi ha gentilmente anticipato parte dell'Introduzione).
21. Preliminarmente a qualsiasi dichiarazione di metodo (vd. quella sulla interrelazione necessaria fra tesi, sua confutazione e onere della prova che una "position A used to be standard" deve avere con uno "Scholar B" e un "Commentator C": come è formulata sembra un giochino delle tre carte).
22. Ma non occorreva scomodare l'autorità di Max Weber (che, bontà sua, "rightly said"!): si tratta della consapevolezza che ogni ricercatore acquisisce fin dai suoi primi passi scientifici.
Agli ulteriori commenti della risposta affidati al blog devo premettere che la recensione della Signorina Shanzer al volume corale sui libri I e II di Marziano Capella da me curato (oltre a essere farcita di rilievi infondati e di affermazioni scorrette o superficiali), è pervasa da consolidato livore, ratificato inconsapevolmente (?) dalla excusatio non petita finale (“When the author of one commentary reviews another one on the same text, the situation can feel uncomfortable or invidious”) e dall’icastico imbarazzo (“cower sheepishly”) nell’autoproclamarsi giudice. Ma in ciò riconosco i vestigia dell’antico impeto in quanto già nel passato sono caduto nella rete dell’irreprensibile fustigatrice (Gnomon 68, 1996: 13-28, quindici pagine fitte quanto inutili sul mio commento al libro IX delle Nuptiae pubblicato quasi dieci anni prima: Padova 1987). Allora non replicai alla inconsistenza dei rilievi, con la presunzione che “aquila non captat muscas”: fu un errore che certamente ha contribuito a confermare S. nell’autoconvinzione di essere arbitro inappellabile degli studi marzianei. Nella rinnovata occasione mi sono deciso a farlo perché, pur essendo subito evidente che il bersaglio sono io, il lavoro oggetto della reprimenda è frutto della collaborazione di tre diverse mani (che hanno lavorato di comune accordo nonostante quanto insinuato: nota 29), accusate, spesso indiscriminatamente (“the Italian team, the authors, the commentators”), dei misfatti (ma sulle parti di ciascuno vd. p. VIII e 94. In realtà di Lenaz è ricordato il “magisterial work of 1975”, che evidentemente non è più tale dopo la mia “light revision” [“condivisa e approvata dall’autore”, p. 248] con cui è incluso nel volume weidmanniano. Revisione di cui Shanzer non sembra avere controllato la consistenza perché concentrata “on the new material related to Book I”, come non sembra avere contezza del contenuto del volume se afferma che “much of this material has been previously published”).
ReplyDelete1) Osservazioni al commento. Inspiegabili le accuse di avere abusato (nota 30) nel segnalare i paralleli delle singole iuncturae, che sarebbero “information for information’s sake” e di attitudine “schizofrenica” nel registrare gli hapax legomena. Si tratta di materiale recuperato con profitto anche mediante banche dati (per Shanzer usate non in modo corretto e produttivo: note 30-34). Della lingua e dello stile di un autore che si pretende di emendare per restituirgli una veste linguistica corretta riteniamo fondamentale segnalare tutti gli hapax e tutti i possibili paralleli “nel tentativo di indicare e selezionare i materiali che concorrono alla [caratterizzazione della sua] complessa lingua letteraria”: p. VIII). Anzi, ci accusiamo di non averne inseriti ancora di più (anche le “riprese” medievali di cui Shanzer stupisce: nota 33).
Shanzer non riconosce elementi di novità nel commento, neppure per le parti escluse dal suo Commentary, come la complessa sezione “etrusca” sulle dodici regioni del cielo “and the Liver of Piacenza” (1.45-60), argomento sul quale “the team were braver than I”, ma “with the expert guidance of G. Capdeville” (1996). Chi conosce la questione sa che Capdeville è importante, ma non risolve certo tutte le difficoltà di Marziano. La sezione non va letta come riproposizione del “fegato di Piacenza” e ha una autonomia che rende particolarmente ardua l’esegesi.
2) Esempi del “metodo Shanzer” nell’esegesi del testo:
ReplyDeletea) 1.10 (non 1.8!) vittisque semivulsis. La traduzione “e qualche brandello di benda sacerdotale, corrosa”, secondo Shanzer, non renderebbe il valore di semi- in rapporto a vello (“i.e. why not simply avulsis?”). Ma semi- è qui fondamentale per caratterizzare lo stato di abbandono della prassi e degli strumenti della divinazione, di cui però si intravedono ancora le tracce dell’antico splendore (“semidistrutti”: topos del defectus oraculorum, p. 120 ss.; Shanzer congettura semiustis).
b) 9.931 (proslambanomenos apud Romanos […] idem dicitur adquisitus [scil. sonus]) quia eadem voce nos uti summus Iuppiter statuit: sulla maggiore diffusione di statuo con acc.+inf. (“without ut is anomalous”!: no, è con ut che è meno attestato) basta vedere l’indice del Kühner-Stegmann II 2, p. 729. Shanzer però sostituisce statuit con la congettura vetuit di Willis in quanto il latino adquisitus non corrisponde al greco proslambanomenos, né è sua esatta traduzione (così già nella rec. al mio commento: 1996,24, di cui ripropone le “oddities”. Ma qui il termine latino è calco-traduzione del greco, come spiega proprio il nesso eadem voce che stabilisce la relazione linguistica e l’equivalenza semantica tra i due composti ([suono] “aggiunto”).
c) 6.579 videbis istic depingi quicquid verbis visum non valeas explicare. Shanzer accetta, con Willis, l’espunzione di visum (“if one keeps visum, the position of verbis is awkward for construction with explicare”). Ma il testo tràdito si spiega con la considerazione che l’anastrofe verbis visum è un nesso allitterante che lega insieme i due momenti della vista e della parola e mette in risalto verbis perché l’ars geometrica, disciplina del numero, non è compiutamente esprimibile con il discorso verbale, ma lo diventa attraverso le figure tracciate sull’abaco: “tutte quelle immagini che, a parole, non si possono esprimere compiutamente”.
d) 2.199. Non si capisce perché non dovremmo accettare solo “partially” la proposta di Willis (in apparato) ex per il tràdito sex se, come nel caso imputatoci, contribuisce a migliorare il testo (vd. p. 314). Avremmo accolto anche quelle di Shanzer se assolvessero allo stesso scopo.
Su altre osservazioni sparse di questo tenore riteniamo inutile dilungarci.
Suvvia, Signorina Shanzer, ancorché scolaretti non particolarmente dotati (come affettuosamente da lei insinuato), sappiamo discernere l’urbanità dei modi dall’isterismo filologico, l’improvvisazione esegetica da chi si professa dicti studiosus. Un esercizio questo che si fa sul testo e che necessariamente rende coscienti delle proprie responsabilità e dei propri limiti e dei lenti progressi ed esclude perciò chiacchiere e livore.