Reviewed by Attilio Mastrocinque, Università di Verona (attilio.mastrocinque@univr.it)
Le ambre intagliate dell'Italia preromana hanno riscosso negli ultimi anni un notevole interesse e la loro conoscenza ha fatto grandi progressi grazie alla pubblicazione di collezioni museali1 e a mostre specifiche.2 Verso la fine dell'età del bronzo e all'inizio dell'età del ferro furono i Fenici a intagliare e commerciare ambre lungo le coste del Mediterraneo, poi, in epoca arcaica, iniziarono produzioni greche, etrusche e latine. Nel V secolo la creazione di intagli in ambra divenne un fenomeno tipicamente italico e molte botteghe produssero numerosi piccoli capolavori, che venivano usati come pendenti, decorazioni di fibule, grani di collane o oggetti di prestigio. Il libro di Montanaro si concentra sulle ambre intagliate di provenienza pugliese. Esse sono probabilmente le più numerose. L'Autore presenta un vasto catalogo, articolato a seconda dei soggetti raffigurati: personaggi del mito, satiri, menadi, animali, ecc. Al catalogo che include i dati fondamentali relativi ai corredi, si affiancano studi su diverse problematiche. La consultazione non è sempre agevole, perché talora si rinvia alla seriazione del catalogo (che non sempre dispone dell'immagine corrispondente), con i suoi gruppi e sottogruppi, altre volte alle figure o alle tavole. Comunque , l'apparato iconografico è ricchissimo, e vi trovano spazio molte sculture scoperte o edite in tempi recenti, ad esempio quelle da Rutigliano, o quelle di collezioni americane L'Autore presenta la storia degli studi (che sostanzialmente risale al 1966, con il catalogo delle ambre del British Museum3) e, sulla base della ricca documentazione raccolta, cerca di riformulare i problemi più spinosi. I risultati non sempre sono presentati in modo univoco, ma sembra possibile sintetizzarli come segue. La comparsa degli intagli in ambra in Puglia inizia nel VII-inizi VI secolo con una bottega a Canosa, da cui verrà poi prodotto il gruppo del Satiro e Menade del British Museum (pp. 33, 41). Il Maestro del guerriero alato (cioè la scultura da Melfi, conservata al museo archeologico nazionale del luogo, raffigurante un giovanetto alato con scudo4) opera poco dopo quello del Satiro e Menade e ne è un successore. Gli succede anche l'intagliatore del gruppo con giovane che guida una quadriga, al British Museum, (pp. 127-128, con qualche contraddizione: stesso atelier oppure primo e secondo atelier). La matrice culturale di queste botteghe , che produssero anche molte altre sculture in ambra di alto livello, è presentata riprendendo la teoria dello Strong, secondo cui si tratta di maestri etruschi di Campania passati in Daunia. L'Autore segue anche la teoria di Angelo Bottini, e pensa ad artigiani itineranti (pp. 200-201). Ancora nel IV secolo nella Puglia del Nord ci sarebbe stato un atelier che produceva ambre in stile etrusco-campano, visto che a Salapia si sono trovati esemplari non finiti (pp. 43-4). In un altra parte del volume (p. 130), l'Autore suggerisce che artigiani venuti in Etruria meridionale dalla Ionia siano poi passati in Italia del Sud. La quantità di ambre intagliate da corredi funerari della Puglia settentrionale spinge l'Autore a ipotizzare (p. 53) l'esistenza di officine a Canosa, Rutigliano e Ruvo. Egli suggerisce altresì (p. 164) produzioni locali per le testine di sileni rinvenute a Melfi, e una produzione di dischi forati con figure per fibule a Ruvo (p. 175). Il più grosso problema posto dalla teoria dell'origine etrusco-campana dei maestri operanti in Puglia (la Basilicata è scarsamente presa in considerazione, ma essa ha, più o meno, le stesse probabilità della Puglia di avere importato oppure prodotto intagli) è che conosciamo troppo poco le caratteristiche della produzione artistica di questa area culturale. Il fatto che parecchie testine femminili (specie dall'Etruria padana) portino il tutulus (acconciatura dei capelli a forma conica, tipicamente etrusca) non è prova della matrice culturale etrusca degli intagli pugliesi e lucani. In quest'area molte figurine femminili non hanno il tutulus e trovano confronti stilistici nella monetazione di Siracusa e di Magna Grecia.5 Del resto, non sappiamo niente di eventuali maestri intagliatori etruschi di Campania. Peraltro, l'Autore sostiene che le ambre trovate a Noicattaro sono state importate direttamente da Spina (p. 54). L'ipotesi di un'origine etrusco-campana viene sostenuta anche sulla base di confronti con prodotti etruschi di V-IV secolo dal Lazio settentrionale e Toscana (pp. 142-149). L'Autore dà una certa importanza a oggetti di pregio rinvenuti nella Puglia settentrionale, nei medesimi contesti funerari da cui provengono le ambre. In particolare (p. 146 fig. 83) da Ruvo vengono placchette in avorio etrusche. Esse però presentano uno stile molto differente da quello delle ambre, e non sono una prova dell'esistenza di artigiani di scuola etrusca che operarono per decenni in officine di Peucetia e Daunia. E nemmeno sono una forte prova gli oggetti, specialmente in bronzo, importati dall'Etruria. Tali importazioni potrebbero essere citate a buon diritto se si ipotizzasse una importazione anche delle ambre dall'Etruria. La teoria dei maestri etrusco-campani, che crearono botteghe in Peucezia e Daunia, risulta artificiosa e deriva dalla necessità di combinare la presenza di stilemi che ricordano la bronzistica etrusca del Lazio con i luoghi di rinvenimento degli intagli. Il fenomeno che viene ipotizzato non trova confronti in nessun'altra produzione coeva. Un oggetto che potrebbe essere citato come confronto con le produzioni di Campania è il pendente aureo da Cuma, raffigurante Sirene e, al centro, un Sileno anguipede.6 Si tratta della Cuma della seconda metà del VI secolo, città greca aperta anche a scambi culturali con gli Etruschi.7 Influssi dagli Etruschi di Campania si notano nella produzione di antefisse nel V secolo ad Arpi, e importazioni da Pontecagnano sono state riconosciute in Lucania e Puglia settentrionale. Però non ci fu nessuna produzione dauna o peucetia di bronzetti, sculture o gioielli di livello paragonabile alle ambre, che risulterebbero del tutto isolate. Sembra strano che solo ateliers di intagliatori d'ambra di cultura etrusca fossero attivi nei centri peucezi e dauni, mentre i bacili di bronzo o gli intagli in avorio venivano importati dalla Campania etrusca o dal Lazio settentrionale. I corredi di Basilicata e Puglia del Nord sono composti anche da gioielleria magno-greca. Il giovane guerriero alato presenta uno stile comparabile con quello della coeva coroplastica tarantina,8 e Servio (Aen. XI.271) menziona un'isola Elettride (cioè "dell'ambra") di fronte a Taranto. L'ipotesi di importazioni magno-greche va dunque tenuta in considerazione, tanto quanto quella di importazioni dalla Campania etrusca. Sicuramente si svilupparono scuole locali che imitavano e continuavano le magistrali produzioni in ambra di fine VI e di V secolo. Con la ceramica dipinta le cose andarono nello stesso modo: gli indigeni importarono dal mondo greco nel VI e nel V secolo, ma alla fine del V secolo alcuni maestri ateniesi aprirono botteghe nell'Italia meridionale e così nacquero le produzioni locali di ceramica dipinta in ambito lucano, apulo e campano. Le sculture in ambra devono aver seguito un percorso analogo. Nello studio di queste scuole locali il Montanaro ha lavorato con molta cura, portando alcuni apporti interessanti e sviluppando alcune tesi di Angelo Bottini e Maria Cecilia D'Ercole. Egli pensa che il cosiddetto "gruppo di Roccanova" derivi dall'opera di un maestro che ha prodotto una testina femminile di profilo verso la fine del V secolo (pp.152-54). Anche il "gruppo di Roscigno" (pp.160-69) non risulta più essere semplicemente una tarda produzione di cattiva qualità, ma trova, anch'esso, la sua origine nelle produzioni di buon livello del V secolo (pp.156-57).9 Il libro è certamente importante e rappresenta un punto di riferimento per future ricerche, soprattutto grazie all'accurato repertorio e al riferimento ai contesti archeologici. [For a response to this review by Andrea Celestino Montanaro, please see BMCR 2013.10.14.]
Notes:
1. Si veda, per es., M.C. D'Ercole, Ambres gravées du Département des Monnaies, Médailles et Antiques. Bibliothèque Nationale de France, Paris, 2008; F.Causey, Amber and the Ancient World, Los Angeles, 2011 (BMCR 2012.04.57).
2. Si veda, per es., A.D.Grimaldi, Amber. Window to the Past, New York, 1996; Lacrime d'ambra: ornamenti femminili della Basilicata antica. Torino, Museo di antichità, 9 mar.-30 sett. 2002, Roma, 2002; Magie d'ambra. Amuleti e gioielli della Basilicata antica. Catalogo della mostra Potenza dic. 2005 - mar. 2006, Potenza, 2005; Ambre. Trasparenze dell'antico, a cura di M.L.Nava e A.Salerno, Catalogo della mostra 26 mar. - 10 sett. 2007, Milano, 2007
3. D.E.Strong, Catalogue of the carved Amber in the Department of Greek and Roman Antiquities. British Museum, London 1966
4. L'Autore, p. 135, lo descrive come se avesse una alopekìs (copricapo di pelle di volpe) sulla testa, laddove invece è coperto dalle spoglie di un'anatra, o volatile simile all'anatra.
5. A. Bottini, "Ambre a protome umana dal Melfese" "Boll. d'Arte" 41, 1987, 15, nota 51.
6. E.Gabrici,""Cuma"", "MonAnt " 22, 1913, 563-64, 743 e tav. LXXIX.
7. M. Pallottino, ' Il filoetruschismo di Aristodemo e la data di fondazione di Capua' in "PP" 11, 1956, 81-88.
8. A.Mastrocinque, ""Ricerche sulla glittica tarantina di epoca classica…"" in Est enim ille flos Italiae… Vita economica e sociale nella Cisalpina romana. Atti delle giornate di studi in onore di Ezio Buchi, Verona, 30 nov. – 1 dic. 2006, Verona 2008, 485-89.
9. Cf. già Bottini, o.c., 5.
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