Reviewed by Maurizio Buora, Società friulana di archeologia (mbuora@libero.it)
Questo superbo volume, pubblicato in Belgio sotto gli auspici dell'università di Lovanio, si inserisce in una tradizione classificatoria che soprattutto la scuola francese ha perseguito con esiti brillanti. Basterebbe citare a questo proposito la classica opera sulla ceramica a vernice nera di Jean Paul Morel1 o il dizionario delle ceramiche antiche del Mediterraneo nord-occidentale,2 richiamato espressamente nel testo (es. a p. 210). Il volume però è molto di più di un semplice sistema classificatorio, in quanto è una sorta di enciclopedia – sotto forma di "dictionnaire" della ceramica più diffusa. Dal titolo ci aspetteremmo una trattazione in ordine alfabetico, invece si segue il più consueto criterio cronologico. È interessante notare come si sia abbandonata l'idea di comprendere tutto il mondo romano —prospettiva che si illudevano di perseguire ancora negli anni Ottanta i compilatori dell'Atlante delle forme ceramiche,3— per perseguire l'obiettivo, più ragionevole, di esporre i dati di un'area limitata. Con copertina rigida, come si conviene a un volume adatto ad essere consultato a lungo, esso offre un panorama completo della ceramica ("a larga diffusione," come dal titolo) della Gallia settentrionale, un'area indicata nella prima carta, a p. 30. Essa include territori compresi nelle attuali Germania, Belgio e Francia. La trattazione si estende anche a ceramiche che non furono prodotte nell'area, ma in essa furono distribuite. In qualche caso la carta di distribuzione comprende anche la Britannia (esemplare quella a p. 319); lo stesso vale per la cartografia dei luoghi di produzione (es. p. 36 che include la Britannia e va dall'attuale Germania sudoccidentale fino ai Pirenei). Di conseguenza nel volume sono illustrate anche produzioni specifiche, come ad es. quella di Rheinzabern, che hanno da sé ampia bibliografia. Nei casi in cui l'origine del materiale sia da ricercare altrove (ad es. in Italia) come per le pareti sottili, gli autori fanno riferimento alla storia degli studi, alle principali tipologie e quindi analizzano solo la versione locale, gallica, dei prodotti (pp. 300-301). A p. 455 si riconosce, onestamente, che "l'illustration occupe une place primordiale dans cette monographie". Lo dimostrano le 34 carte geografiche di distribuzione e le ben 153 tavole con poco meno di 1900 esemplari (vasi interi, orli e fondi) riprodotti in sezione. I disegni, presumibilmente effettuati da autori diversi, sono resi omogenei quanto a tecnica e a resa grafica. Basterebbe questo per fare dell'opera un indispensabile strumento di consultazione, ma essa si arricchisce ulteriormente di nitide fotografie e soprattutto di immagini relative all'impasto in sezione, sicché il riconoscimento delle singole produzioni, anche per chi opera al di fuori dell'ambito propriamente gallico, appare di molto facilitato. Questo espediente è quanto mai necessario perché spesso forme simili appaiono in produzioni diverse o vengono imitate in diverse fabbriche. In totale sono illustrati quasi una novantina di tipi diversi di ceramica. La ricca bibliografia si estende per ben 28 pagine e comprende oltre 900 titoli. Di grande interesse il fatto che tra i contributi citati ben pochi sono anteriori agli anni Settanta, mentre la maggior parte data dagli anni Ottanta e Novanta in poi, con grande attenzione e risalto dato agli studi più recenti. Per questo motivo l'opera costituisce anche un utile aggiornamento bibliografico. Per quanto, come dice espressamente il titolo, l'opera sia dedicata alla Gallia del Nord essa ha la completezza – e anche l'utilità – di un manuale e può valere come accurato esempio di approccio metodologico a chiunque si occupi di ceramica romana, in qualunque parte dell'impero. Le diverse voci, organizzate come lemmi, procedono allo stesso modo. Dopo un'introduzione generale, segue una parte dedicata alle caratteristiche tecniche (con osservazioni macroscopiche e microscopiche eventualmente integrate da analisi chimiche), cui tien dietro un repertorio morfologico, poi si parla della decorazione, quindi della cronologia, della diffusione e infine si dà un rapido quadro bibliografico con specifico riferimento agli studi più recenti sulle singole classi di materiale. L'opera non intende studiare la ceramica nei suoi aspetti tecnologici, sociali e funzionali (se non raramente, come ad es. a p. 311 ove si fa riferimento all'utilizzo), ma ha l' obiettivo di creare uno strumento che consenta di precisare meglio i vari tipi di ceramica. Per alcune forme si dice espressamente che si tratta di chiari indicatori cronologici, ma non vi è a questo proposito, per scelta, alcuna discussione di carattere cronologico, poiché vengono semplicemente ripresi i dati dalle pubblicazioni più recenti, preferibilmente da necropoli. Gli autori insistono più volte sul fatto che sono trattati qui solo i tipi maggiormente diffusi (oltre che nel titolo si veda a p. 313). Nondimeno alcune carte di distribuzione sono estremamente interesssanti e permettono di gettare uno sguardo verso le vie del commercio (che spesso, - ma non sempre necessariamente – sono le vie dei castra e dei fiumi). Per scelta si parla raramente di bolli, tema che è estraneo al volume: la rubrica corrispondente fornisce solo informazioni di carattere generale e la bibliografia specifica. I vari gruppi sono definiti, oltre che dalle forme, dalla "fabrique" che riprende il concetto britannico di "fabric", equivalente all'italiano "impasto", ma nell'opera che consideriamo si estende al trattamento della superficie al fine di individuare una produzione o parte della produzione di un atelier noto o ignoto. Il repertorio delle forme parte dalla tipologia di Haltern (p. 39) e, passando per quella del Conspectus fino ai prodotti di Lione, de La Graufesensque e via via fino alle produzioni tarde, dà adeguato conto anche delle classificazioni regionali più recenti e dettagliate. Come già notato, la trattazione non riguarda solo le produzioni locali, ma tutte quelle che circolavano nel territorio considerato. Per ovvie ragioni le ceramiche altrove più diffuse sono trattate in maniera cursoria, in relazione all'effettiva presenza nel territorio considerato. Vale per tutti l'esempio della t.s. chiara africana, di cui si considera solo la D in una parte assai ridotta, a motivo della scarsa presenza, limitata sostanzialmente alle grandi città ed eccezionale nei siti rurali. Sull'interpretazione di alcuni fenomeni vi è una discussione tuttora aperta. Valga per tutti il caso del significato della bollatura, che riguarda anche altre classi di materiale, soprattutto i laterizi, e che appare con caratteristiche regionali anche cronologicamente diverse. A p. 37 a proposito della terra sigillata italica si osserva che essa si afferma quando si manifesta un'alta specializzazione che avrebbe portato il vasaio alla pratica della firma ("segnature"). In realtà nel medesimo periodo in Italia si assiste alla apposizione della firma anche su terracotta comune e sui così detti piatti per pizza, quindi non può essere questa la spiegazione. A proposito dei piatti per pizza (ceramica a vernice rossa italica) qui presentata alle pp. 379-380 osserviamo che la produzione non fu probabilmente solo pompeiana, ma venne imitata anche nell'Italia del Nord, come fanno supporre alcune (isolate) attestazioni di bolli onomastici impressi sul fondo. In conclusione possiamo dire che l'opera costituisce una tappa importante non solo per gli studi ceramologici, ma anche per la storia economica in generale. Essa comprende e supera i suoi modelli, divenendo essa stessa, crediamo, modello per trattazioni future di ampio raggio.
Notes:
1. J. P. Morel, Ceramique Campanienne – Les formes, Paris, BEFAR 244, 1981.
2. P. Py, A. M. Adroher Auroux, Cl. Raynaud, Dictionnaire des Céramiques Antiques (VIIe s. av. n. è. – VIIe s. de n. è.) (Provence, Languedoc, Ampurdan), Lattes, Lattara 6, 1993, disponibile anche in rete.
3. Atlante delle forme ceramiche, I, Ceramica fine romana nel bacino mediterraneo (medio e tardo impero) , Roma, Ist. Enciclopedia Italiana, 1981, e Atlante delle forme ceramiche, II, Ceramica fine romana del bacino mediterraneo (tardo ellenismo e Primo Impero) , Roma, Ist. Enciclopedia Italiana, 1985.
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