Rosa María Cid López (ed.), Madres y maternidades. Construcciones culturales en la civilización clásica. Colección alternativas 32. Oviedo: KRK ediciones, 2009. Pp. 380. ISBN 9788483672235. €24.95 (pb).
Reviewed by Giulia Pedrucci, Università degli Studi di Bologna
[Authors and titles are listed at the end of the review.] Il volume raccoglie quattordici studi sulla figura della madre nel mondo antico, otto dei quali riguardano il mondo greco e sei il mondo romano e imperiale: "se inicia en la Grecia imaginada por Homero y finaliza en la Roma de la tardoantigüedad". Gli studi sono raccolti in sei sezioni: dalla prima alla quinta si segue un ordine cronologico, mentre la sesta analizza tre fonti ritenute significative per illustrare le "imágines literarias de las madres y las maternidades". Tutte le autrici sono spagnole, con la sola eccezione di Nathalie Ernoult, a confermare il crescente interesse, in Spagna, per gli studi di genere. Al Grupo de Investigatión Deméter, Historia, Mujeres y Géner dell'Università di Oviedo, per esempio, appartengono alcune delle studiose che hanno contribuito al volume e la stessa Cid López, curatrice della raccolta e coordinatrice del Centro stesso. La finalità del volume è evidente fin dall'Introducción: indagare lo stereotipo della madre nel mondo antico, creato dall'uomo e utilizzato per legittimare la posizione di superiorità di quest'ultimo rispetto alla donna. Da questo proposito emergono due elementi fondamentali (e si giustificano i plurali utilizzati nel titolo): l'immagine ricavata dalle fonti rappresenta soltanto uno stereotipo, che non corrisponde necessariamente all'esistenza reale delle madri del tempo; l'autore di questo stereotipo è l'uomo, che se ne serve secondo scopi ben precisi. Questi due aspetti – evidentemente connessi fra loro – non vengono di solito sufficientemente sottolineati negli studi di genere. Studi che inoltre, come nota la Cid López, raramente si occupano in maniera specifica e sistematica di tematiche relative alla maternità: il primo, rimarchevole merito della raccolta risiede proprio nel reagire a questa "tendenza". E proprio lo sforzo di analizzare in chiave antropologica "las construcciones mascolinas de lo maternal", partendo dall'inevitabile presupposto che la maternità era considerata la funzione femminile per eccellenza, è l'elemento maggiormente innovativo e degno di nota dell'intera raccolta. Mancano, però, il "poderoso estereotipo" documentato nei testi medici e, nel caso in particolare di Roma, un adeguato riferimento al rifiuto da parte delle madri di allattare, di cui ci parlano spesso le fonti. Non sempre, inoltre, le autrici riescono a liberarsi di alcuni clichés. La prima studiosa che ha compiuto un passo decisivo nella direzione "programmaticamente" indicata nell'Introducción è stata Nicole Loraux, alla cui attività è dedicato il primo contributo della raccolta, scritto dalla Iriarte Goñi. In esso vengono analizzate, ma non sempre con sufficiente spirito critico, le più importanti opere in cui la studiosa francese ha elaborato le sue teorie relative alla costruzione del maschile attraverso il femminile e alla concezione ideologica della maternità nell'Atene classica.1 Soltanto per fare un esempio, i contenuti del famoso contributo «Qu'est-ce qu'une déesse ?», che andrebbero ampiamente (ri)discussi, vengono ignorati o pedissequente riproposti. Poco pertinente, pur in una visione ampiamente comparativa, appare l'esempio di "appropriazione" maschile del ruolo materno e di subordinazione del principio femminile a quello maschile tratto dalla Nuova Guinea. Nel secondo contributo, opera della Reboreda Morillo, dopo un breve excursus su Demetra e Kore, si analizza la figura (evanescente) della madre nei poemi omerici. Il fil rouge è costituito dal rapporto fra madri e figli nei racconti mitici, di norma caratterizzato da dolore e lutto. Il discorso si concentra sul caso peculiare di Penelope – che si trova in una condizione di assoluta eccezionalità nel mondo greco perché "non appartiene a nessuno" – e in particolare sul suo rapporto con il figlio maschio. Fintanto che Odisseo è lontano, Penelope e Telemaco sono legati da una relazione strettissima; ma nel momento in cui ritorna Odisseo, il figlio si indentifica con il padre, cioè con l'elemento maschile, allontanandosi dalla madre fino a rompere ogni legame con lei (che ne ha volutamente ritardato la maturità, per motivi che forse andrebbero ulteriormente approfonditi). La madre, in sostanza, non può che fallire quando deve (o vuole) ricoprire il ruolo di padre e Penelope, nel "caos" in cui si viene a trovare, fallisce anche come madre. Ambizioso per la complessa e articolata tematica che affronta, ma ben strutturato è il terzo contributo, scritto dalla Dolores Mirón Pérez. Si parte dalla nota affermazione di Jean-Pierre Vernant, le mariage est à la fille ce que la guerre est au garçon,2 per passare al problema del rapporto fra donne e violenza. L'esclusione delle donne dal potere implica l'impossibilità per il genere femminile di utilizzare legittimamente la violenza. Le eccezioni a questa regola (Ecuba e Clitemnestra, così come Olimpia, la madre di Alessandro Magno) come sempre servono, in ultima analisi, a confermarla. Nel caso delle "madres vengadoras" – tutte donne non più fertili – assistiamo al totale sovvertimento dell'ordine stabilito fra i generi: in quanto generatrici di vita, il loro ruolo è incompatibile con la morte. Il quarto contributo, della Ernoult, riguarda il ruolo della madre nella polis ideale di Platone. Ai filosofi, come del resto agli storici, lo stereotipo materno (una figura esclusivamente "filosofica", del tutto distaccata dalla realtà) interessava soltanto all'interno di un discorso politico: questa è l'imprescindibile premessa da cui parte l'autrice, le cui conclusioni sono felicemente riassunte nelle parole finali: il a deux façons d'aborder la maternité des femmes: dans l'une, le philosophe dépossède les femmes de la maternité pour mieux les intégrer dans une groupe sociale mixte où chaque individu est placé sur le même pied d'égalité. Réduite à ses strictes fonctions biologiques, la différence entre homme et femme n'accorde pas de pouvoir spécifique à l'un ou l'autre sexe. Dans l'autre, la différence sociale entre les sexes étant restituée, Platon valorise la maternité et le rôle de la mère pour en faire une fonction absolument indispensable au bon fonctionnement de la cité, une fonction qu'aucune autre ne pourrait remplacer. Si l'on cherche le véritable sens de la maternité chez Platon, c'est du côté du masculin que nous allons le trouver.
Il quinto contributo, della González González, mi pare particolarmente interessante perché permette di "ascoltare" direttamente la voce, per quanto flebile e circoscritta nel tempo, di alcune madri greche. Accanto alla ben nota testimonianza di Saffo – ricordata all'inizio del contributo – nella Antologia Palatina troviamo alcuni epitaffi scritti da donne, che insistono in particolare sullo stretto rapporto madre/figlia. Emerge in questi testi una certa preoccupazione per l'arete e per la sophrosyne, che sono in genere qualità tipicamente maschili. Importante la conclusione dell'autrice, secondo cui queste donne, non più condannate all'anonimato, "podían (no sabemos hasta qué punto solían) tener un punto de vista muy diferente acerca de la «mujer ideal»" (ma non dimentichiamo che stiamo parlando di un'epoca profondamente diversa rispetto a quella arcaica e classica, fin qui presa in considerazione, per cui ogni eventuale conclusione andrebbe opportunamente contestualizzata).
All'analisi diretta di alcune fonti letterarie (di lingua greca) sono dedicati anche i tre contributi che chiudono la raccolta.
Nel primo, della Fernández García, troviamo un importante tentativo di superare l'interpretazione tradizionale del mito di Demetra e la figlia Kore come metafora del ciclo agrario o del matrimonio. Interessante, anche se lascia aperto qualche interrogativo (Demetra è una dea sicuramente connessa con la maternità, ma in quale modo? Che tipo di madre è, oltre a essere madre "in lutto"?), è la riflessione sul rapporto madre/figlia; meno convincente, invece, è l'interpretazione basata sull'eterno conflitto fra maschile e femminile, fra paterno e materno (in cui non mancano riferimenti alle "poderosas diosas madres del mundo mediterráneo").
Per illustrare il pensiero di un greco, che però visse a Roma, il penultimo contributo, scritto dalla Medina Quintana, è dedicato a Plutarco, che non lesina riferimenti alle qualità della buona madre, secondo l'ideale elaborato all'epoca sia nella società greca che in quella romana. In questo contributo si analizza la figura di Cornelia e, attraverso il paragone con le esemplari donne spartane, si conclude che per Plutarco, a Sparta come a Roma, la maternità è "un deber cívico", in base al quale si può pretendere dalle madri il sacrificio dei figli per il bene comune, "en un actitud no tanto de generosidad come de compromiso con la patria".
Da ultimo nel contributo della González Santana si affronta un tema particolarmente interessante e rivelatore per quanto concerne lo stereotipo materno nel mondo antico: il giudizio espresso sulle madri "barbare". L'autore in questo caso è Strabone, ma non possono mancare riferimenti alla Germania di Tacito. Mentre Strabone stigmatizza i comportamenti delle donne del Nord-Est della Spagna, etichettandoli come sovversivi per la perniciosa inversione dei ruoli che essi comportano, Tacito prende piuttosto a esempio le genuine madri germaniche. Ma i tempi sono diversi: mentre Strabone ha lo scopo di screditare le popolazioni locali per legittimarne la conquista, Tacito, da buon laudator tempori acti, vuole criticare la corruzione dell'epoca. Da sottolineare è la conclusione sul "mito del matriarcado" che "ha sido una de las mejores recreaciones propagandística y publicitarias".
Il primo contributo sul mondo romano, quello della Molas Font, tratta della figura della madre nelle leggende delle origini (figura elaborata in periodo augusteo, che di conseguenza risente in maniera esemplare dei valori tipici dell'ideologia del principato). In particolare si riflette sul fatto che la nascita di Romolo e Remo è frutto di una violenza ai danni della vestale Ilia-Rea Silvia, la quale non si occuperà personalmente dei figli, lasciando alla lupa, cioè all'"animal totémico" del dio, il compito di allattarli. Anche se forse andrebbero ormai evitati riferimenti al totemismo, è interessante la lettura di questo mito – che si potrebbe applicare anche ad altri miti, anche greci – come volontà maschile di appropriarsi della più pregnante funzione femminile. Il riconoscimento del ruolo materno è in questi testi praticamente nullo: per la madre del fondatore si elabora una figura di vergine perfettamente silenziosa e totalmente sottomessa. Il racconto è funzionale anche alla politca espansionistica di Augusto, discendente della stirpe di Venere, di Enea e di Romolo, figlio di Marte. Questo saggio è ricco di spunti stimolanti, anche se viene forse trascurato il tema dell'allattamento ferino, che andrebbe approfondito.
I temi della violenza e dell'"invidia della maternità" ritornano nel successivo contributo della Cid López. Come osserva la studiosa, tutti i racconti delle origini sono incentrati su figure di donne, che, però, sono protagoniste passive, vittime di stupri e di rapimenti, ma sempre esaltate per la loro pudicitia. Alcune muoiono prima di diventare madri, ma vengono comunque pensate come madri potenziali. Il ratto delle Sabine fonda il rito dell'unione coniugale attraverso il rapimento, con il quale si "addomestica" – termine peraltro da utilizzare con cautela – la donna all'interno di una società civilizzata. Per i Romani la maternità doveva essere controllata dagli uomini e a essi – nonché al bene comune – perfettamente funzionale: il dominio sul corpo femminile doveva essere assoluto e ottenuto con la violenza, attributo tipicamente maschile.
Parlando di Roma, non possono mancare alcuni contributi sul diritto. Nel penultimo, della Núñez Paz, si affronta un tema particolarmente significativo per illustrare l'enorme differenza fra "ideale" e "reale": "el contraste entre el valor social que se concede a Roma a la maternidad y la invisibilidad jurídica de la madre", priva di ogni potestas pubblica e "sometida al absoluto del principio paterno". L'unica ricchezza della donna era un ventre in grado di generare, utilizzato dal padre per allacciare o per consolidare relazioni sociali o politiche. Non a caso nel diritto romano la donna appare sempre come "continente gestante". Si tratta di un contributo molto denso e tecnico, ma assai stimolante, soprattutto perché prende in esame la legislazione relativa ad alcuni momenti topici della "biografia" materna (gestazione, parto, aborto), oltre a questioni come la custodia dei figli – da cui la madre è in genere esclusa – e l'eredità.
Il volume, concludendo, per la ricchezza delle tematiche e per la discreta bibliografia che contiene è uno strumento di apprezzabile valore per chiunque voglia affrontare un tema come quello della maternità nel mondo antico, altrimenti poco trattato in monografie.
Introducción di Rosa María Cid López
Condiciado poder de procrear: Nicole Loraux, la maternidad metafórica y la proximidad de lo distante di Ana Iriarte Goñi
Penélope: la maternidad en el caos di Susana Reboreda Morillo
Las madres vengadoras: mujeres, paz y violencia en la Grecia antigua di María Dolores Mirón Pérez
Maternité et rôle maternel dans les cités idéales de Platon di Nathalie Ernoult
El lamento de las madres en los epitafios griegos: una mirada a la Antología Palatina di Marta González González
Las madres en la Roma primitiva. Las maternidades simbólica di Maria Dolors Molas Font
Madres para Roma. Las "castas" matronas y la repubblica di Rosa María Cid López
Maternidad y poder político: las princesas julio-claudias di María José Hidalgo de la Vega
Maternidad y poder femenino en el Alto Imperio: imagen pública de una primera dama di Almudena Domínguez Arranz
Progesivo y limitado reconocimiento de la figura materna en el Derecho romano. De la cesión del vientre al esercicio de la tutela di María Isabel Núñez Paz
Madre y maternidad en el ordenamiento jurídico de la Hispania tardoantigua (siglos V-VII d.C.) di Henar Gallego Franco
El «Himmo homérico a Démeter»: una reinterpretación de la relación madre-hija a travér del mito di Verónica Fernández García
Madres y maternidades en Plutarco. Una valoración de textos seleccionados di Silvia Medina Quintana
El mito de la bárbara. La maternidad y la mujeres del noroeste hispánico di Mónica González Santana
Notes:
1. Principalmente: Nicole Loraux, Les enfants d'Athéna. Idées athéniennes sur la citoyenneté et la division des sexes, Paris 1981; ead., Les expériences de Tirésias. Le féminin et l'homme grec, Paris 1989; ead., Les mères en deuil, Paris 1990; ead., «Qu'est-ce qu'une déesse?», in Pauline Schmitt-Pantel (éd.), Histoire des femmes en Occident, L'Antiquité, Paris 1991, 31-62; ead., Né de la terre. Mythe et politique à Athènes, Paris 1998.
2. Jean-Pierre Vernant, Mythe et société en Grèce ancienne, Paris 1974, 38. L'affermazione di Vernant (qui non espressamente citato) va ovviamente contestualizzata. L'argomento è ampiamente trattato in Loraux, Les expériences de Tirésias, cit. Il riferimento all'opera della Loraux è presente nella maggior parte dei contributi.
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