Leiden/Boston: Brill, 2009. Pp. xviii, 426. ISBN 9789004177741. $169.00.
Il tema dei collegia è stato ripetutamente trattato già in testi classici di storia antica, come le opere di Mommsen, Waltzing e De Roberto, che ne hanno indagato prevalentemente l'aspetto giuridico. Esso non è estraneo all'attenzione moderna, per cui le forme dell'organizzazione interna del mondo del lavoro e i loro rapporti con la legge, le autorità pubbliche e, in una parola, il corpo sociale appaiono di grande attualità.
Dopo un'introduzione che riprende le teorie correnti a proposito dei centonarii, i modelli teorici e le ipotesi comparative e un'analisi dei limiti delle fonti antiche, Jinyu Liu snoda un'articolata trattazione in otto capitoli, seguiti da una conclusione, da ampia bibliografia, da sei appendici, un 'index locorum' e un indice generale.
Liu dichiaratamente segue il modello dello studio di Lietta De Salvo sui corpora naviculariorum (p. 9) e si dichiara debitrice anche di Abramenko e di Mouritsen. L'opera si propone di comprendere e spiegare le evidenti disomogeneità della documentazione epigrafica, fortemente sbilanciata a favore dell'Italia settentrionale e della Gallia, e ci riesce percorrendo numerose strade che si intersecano tra loro.
Nel primo capitolo si sottolinea come la diffusione geografica e cronologica di questo collegium appaia ben distinta da quella dei collegia fabrum (presenti in un numero maggiore di località) e dei collegia dendrophorum (meno attestati). Qui si considerano le attestazioni in 84 centri urbani, con l'opportuna avvertenza (p. 31) che il numero delle attestazioni epigrafiche non è di per sé indicativo dell'importanza del locale collegio se non si esaminano anche il rango dei personaggi citati, il supporto e la collocazione del testo. La distribuzione dei 234 testi qui raccolti, compresi i rinvenimenti successivi alla pubblicazione delle principali raccolte epigrafiche, risulta alquanto disomogenea, con ad es. 25 (o forse 26) iscrizioni a Brixia, 15 ad Aquincum, ben 14 a Sassina (regio VI) più che a Mediolanum (10-12) e a Roma (solo 7). Interessante il raffronto tra questi dati e le indicazioni che vengono ad es. dal numero di iscrizioni ogni mille chilometri quadrati, il che parrebbe indice significativo della cultura epigrafica di un territorio (p. 35). Ovviamente è problematica la datazione della maggior parte dei testi, che risentono fortemente delle abitudini locali: alcune osservazioni paleografiche (pp. 41-42) appaiono incerte e discutibili. Il più antico sembrerebbe essere un'iscrizione di Patavium (n. 142), che cita il 242 anno dell'era patavina. Liu identifica tale anno con il 69 d. C.,1 ma la menzione del natalis divi Augusti nel testo n. 41 fa supporre che un collegio esistesse a Roma fin dall'età augustea. I testi giuridici e non le iscrizioni attestano la sopravvivenza del collegio fino alla fine del IV secolo d. C. (p. 54).
Si ipotizza anche che la diversa distribuzione dei collegia centonariorum vada rapportata alle aree di allevamento delle pecore, certo meno rilevanti nelle zone più densamente popolate (p. 82). Inoltre tra le possibili spiegazioni dell'assenza/presenza di attestazioni di un collegium centonariorum (p. 90) va considerato anche il diverso assetto della proprietà terriera e la maggiore o minore presenza di latifundia nelle diverse regioni.
I collegia centonariorum sono stati spesso studiati come parte del complesso dei tria collegia e intesi come se seguissero un unico modello. Liu sostiene invece che, per quanto esista traccia di tendenze comuni, ciascuno ebbe un suo proprio carattere e percorso.
Non mancano nel capitolo excursus di grande interesse, ad es. sul coinvolgimento del collegium dendrophorum nei culti della Magna Mater o di Attis (pp. 52-54), tema ben noto alla letteratura anche recente, o sulla eventuale produzione tessile di Pompei (pp. 87-89).
L'analisi del rapporto tra centonarii ed economia tessile romana, cui è dedicato il secondo capitolo, è per noi ostacolata dalla difficoltà di comprensione del suffisso -rius ('fabbricante'? 'addetto'? 'impresario'?) e del termine cento (connesso ai tessuti di lana? Cfr. p. 69). L'iscrizione di Flavia Solva, che conferma l'immunitas ai collegiati, attesta che il termine centonarius si applicava almeno in età severiana ad artigiani che esercitavano un preciso mestiere e per questo godevano di privilegi, forse concessi da Commodo, tali da porli potenzialmente in urto con la comunità locale (pp. 58-60). Il fatto che alcuni centonarii furono anche Augustali (p. 64) testimonia che questo mestiere fosse tutt'altro che insignificante. Punto fondamentale della trattazione è l'identificazione dei centonarii con gli artigiani e i commercianti di lane di bassa e media qualità (295).
Notevoli parti dell'indagine sono dedicate ai fabbricanti e rivenditori di tessuti, in base all'ipotesi che il termine centonarii si applicasse, in tempi e aree diversi, anche ad altri artigiani del ramo tessile, come ad es. i textores o i sagarii -- i quali sembrerebbero più attivi e maggiormente attestati ove i collegia centonarii sono meno presenti (p. 77) -- e ancora ai vestiarii, che sembrano aver avuto qualche forma di organizzazione interna solo ad Aquileia e a Volubilis. In generale le aree di distribuzione delle diverse attestazioni non sembrano sovrapporsi, bensí essere tra loro complementari (p. 79). La presenza dei collegia centonariorum nel I sec. d. C. nella pianura padana e in Gallia pare accompagnare lo sviluppo economico coevo di queste aree, che erano fonti di approvvigionamento di panni e vestiti per militari e civili in Roma e in Italia (p. 94). Lo attesta anche la diffusione, manifestatasi allora in gran quantità di alcuni tessuti i specifici quali gausapae, attribuite per lo più a Patavium (pp. 93-94 ).
Nel capitolo terzo si esaminano i rapporti tra i collegia, la legge e la publica utilitas. Verso i collegia -- potenzialmente pericolosi, ma anche potenzialmente utili (p. 101) -- lo stato romano non mostra sempre e solo un volto di controllore, ma svolge anche la funzione di validatore, come, tra l'altro, ben dimostra lo scambio epistolare tra Plinio il Giovane e Traiano circa l'opportunità dell'istituzione di un collegium fabrum a Nicomedia (Plin. Ep. 10.33.3).È ampia la disamina degli aspetti giuridici dei collegia e di alcuni istituti ad essi connessi (immunitas e privilegia, utilitas publica e munera, etc.), per cui i testi e le fonti antiche non sempre ci sono d'aiuto. Questi aspetti potevano essere diversi nei confronti di Roma o di altre città. Ad es. un papiro egiziano ci informa che l'utilitas publica dei centonarii in Egitto concerneva le forniture all'esercito delle vesti necessarie, comprese coperte, teli etc. (p. 115). Le forniture militari non furono centralizzate se non nel tardo impero, mentre in precedenza la massa e la messe di nuovi documenti ci informano sui rapporti diversificati, a questo proposito, tra l'ambito militare e il tessuto economico locale delle diverse regioni. Anche per questo la presenza precoce di collegia in Italia settentrionale e in Gallia si può spiegare con le necessità militari (p. 116). Di fatto la vestis militaris divenne nel IV secolo, almeno nelle province orientali, una pura tassa, commisurata all'ampiezza della proprietà terriera (p. 287).
Seguendo questo schema interpretativo, Liu lamenta la scarsa attenzione, in generale, della ricerca per i tessuti e le forniture militari di tessuti (pp. 118-119) e ipotizza che la publica utilitas dei collegia centonariorum potesse riguardare le forniture militari di prodotti tessili (p. 123). Ciò poté avvenire nelle regioni di frontiera (Germania, Britannia) già nel I secolo d. C. e nella zona danubiana non prima della fine del secondo secolo; la prova verrebbe da varie iscrizioni che attestano l'aumentata importanza di questo collegium in quell'area e in quel periodo.
Il quarto capitolo è dedicato alla discussione dei rapporti tra il collegio e l'attività di prevenzione o spegnimento degli incendi. Liu tende a escludere che queste rientrassero tra le funzioni principali del collegio, non solo perché la considerazione per i vigili pare fosse generalmente scarsa, ma anche perché non sappiamo se in tutte le città dell'impero esistesse effettivamente un'organizzazione antincendio (p. 128). Nondimeno in tempo di pace e in certi luoghi (es. Milano, Brescia e Como) i collegia poterono temporaneamente assumere anche questo compito (p. 298).
Il capitolo quinto nello studio della composizione dei collegia si avvale delle osservazioni effettuate sui 226 nomi di membri attestati epigraficamente, oggetto di ampia analisi nell'appendice E. Tali osservazioni non si limitano, dunque, ai soli casi di Roma e di Ostia, come avviene troppo spesso in trattazioni dedicate ai collegia. In questo capitolo si inseriscono talora argomentazioni banali (ad es. notazioni ovvie sui liberti e la loro onomastica a p. 172 e a p. 205), che rendono eccessivo l'allargamento dell'indagine. Altre sono molto più interessanti, come l'osservazione della apparente mancanza di schiavi (se non forse di proprietà del collegio stesso) tra i collegiati (172). Nella discussione sull'eventuale possibilità di parentela tra gli affiliati nei casi offerti dalle attestazioni di Roma, Sassina, Sentinum, Ostra, Mediolanum, Solva e Aquincum, l'A. osserva che in ciascuno dei collegia predomina uno e un solo gentilizio e che le gentes sono diverse nei diversi elenchi. Nel capitolo sesto, che si occupa di patroni e benefattori, è interessante l'excursus relativo all'analisi sociologica del fenomeno del patronato, con la distinzione (peraltro non chiarissima) tra patroni e patres/matres del collegium.
Il capitolo settimo tratta di feste, di religione e di pratiche di sepoltura: sono argomenti molto importanti che dimostrano come l'attività dei collegia fosse rivolta verso l'esterno e verso l'interno, per rinforzare i vincoli sociali e identitari tra i collegae.
L'ultimo capitolo analizza i fenomeni di continuità e di cambiamento nel IV e V secolo, quando tuttavia i collegia mantennero un' importante funzione. Essi riguardano in parte il coinvolgimento dei centonarii nell'ordo decurionum e i mutamenti intervenuti nel concetto di patronato, che non sappiamo quali effetti poterono avere sui collegia. È possibile che la composizione sociale dei collegia abbia subìto a quell'epoca forti mutamenti mediante la creazione di sottogruppi formati dai membri più ricchi e potenti.
Liu si attribuisce la "riscoperta" dei centonarii, ovvero di coloro che, a suo avviso, si occupavano dell'attività economica più importante dopo l'agricoltura e le costruzioni (p. 296). La storia dei collegia riflette il modo di produzione urbano, mentre in Italia meridionale e nella Gallia Belgica questa attività era legata piuttosto alle grandi fattorie.
È di grande interesse la silloge delle iscrizioni che, a qualunque titolo, menzionano il collegium o i collegiati. Alcune, come è ovvio, sono del tutto dubbie (tra queste nn. 24, 31, 35, 47, 66, 96 e 102, 105). L'appendice C è aggiunta proprio per spiegare eventuali dubbi e motivare l'interpretazione proposta.
Molto apprezzabile l'imponente bibliografia, ricca di quasi 850 titoli.
Sfugge l'ordine dei nomi riportati nell'appendice E, che non segue né un criterio geografico né uno alfabetico.
"What this book strives to provide is an exercise that pushed the available sources to their fuller, if not their fullest, potential" (p. 295) proclama orgogliosamente Liu. Concordiamo pienamente, considerando l'opera un vero progresso per gli studi in questo campo. Inoltre essa contiene numerosi spunti dedicati a moltissimi aspetti della vita politica, economica e sociale dell'impero romano, come ad es. la discussione (p. 46) delle attestazioni molto tarde di flamines (uno divi Augusti da Corfinium addirittura dell'anno 180). La comprensione dell'antico si giova anche del riferimento a prassi medievali e persino moderne (ad es. in Canada, a p. 64, ma anche degli strazzaroli a Bologna e dei rigattieri a Firenze, p. 70); a p. 127 compare anche un paragone con l'antica Cina.
Purtroppo è mancato un attento controllo del testo in fase di stampa, cosicché numerosi e molto fastidiosi sono gli errori, di cui riteniamo opportuno dare un elenco qui di seguito.
Per i nomi di persona si intende Hoffiler e non Hoffiller (p. xv); S. Balduin è B. Saria, B. Maurizio è lo scrivente M. Buora (p. xvi); va corretto Lörincz (p. xviii); Kleijwegt va maiuscolo (p. 80); a p. 305 Bass M. V. è Monika Verzar Bass; p. 322 il curatore del volume sulla collezione epigrafica dei Musei Capitolini è Silvio non A. Panciera.
Il volume contiene migliaia di espressioni latine, ma alcune sono trascritte erroneamente, ad es.: unguntarius per unguentarius (p. 36), Caesasar per Caesar (p. 40), d(dendrophorum) per d(endrophorum) (51), Briannia per Britannia (p. 61), negotiarores per negotiatores (p. 73), Detorna per Dertona (p. 78), Nomenum al posto di Nomentum, Aemelia al posto di Aemilia (p. 95), illcita al posto di illicita (p. 102), equ(uo) al posto di equ(o) (139). Sabinanus è stampato al posto di Sabinianus (p. 157); a p. 165 C. Pettius Philtatus (correttamente a p. 222) diventa Philatus, mentre a p. 409 si trasforma in C. Pettus Philtates. Troviamo ancora Titianna per Titiana (p. 165), Secerd(os) per Sacerdos (p. 185), Commd[ianus per Commod[ianus (p. 187), O(ptimo) M(axio) per O(ptimo) M(aximo) (p. 193), decurianalia per decurionalia (p. 220), Marteneses per Martenses (p. 253), nviculariorum per naviculariorum (p. 325), Panonnia per Pannonia (p. 203); p. 206 quastor(io) per quaestor(io), ibid. cret[riae per cret[ariae, p. 272 Aesseria per Aesernia, p. 332 equ(uiti) per equ(iti), p. 334 currant[e per curant[e, p. 340 Taracco per Tarraco (ancora a p. 393); p. 345 p(ecunniae) al posto di p(ecuniae), p. 358 anno[m(ae] al posto di anno[n(ae)], p. 364 Baleno al posto di Beleno, p. 365 Victo al posto di Victor, p. 380 p(refectus), p. 381 dedrofo(rorum). Tra gli altri lapsus a p. 388 Maritinae, p. 388 Sequsiavorum, p. 388 Traverorum, p. 392 nauvicularii, p. 393 Asissium per Assisium, p. 400 c(uraverut) per c(uraverunt).
Il termine stesso centonarii, ripetuto infinite volte, è spesso sconciato nelle forme più svariate (v. pp. 124, 125, 156, 159, 161, 165, 183, 250, 334, 368, 381, 400).
A p. 156 negotiatores (nominativo plurale) non concorda con Cisalpinorum et Transalpinorum (genitivi plurali).
Non sono risparmiati i nomi propri: a p. 399 compare un Baeb[ibius?] al posto di un più comprensibile Baeb[ius] (ma a p. 379 nel medesimo testo lo scioglimento è Baeb[idio?], quindi con altro gentilizio; Iulia Euthenia (p. 378) diventa a p. 399 Iul(ia) Eughenia; a p. 400 do(mo) D[alm]a(ta) di p. 381 diventa Dalmat(ia) con accezione ben diversa. Si nota ancora a p. 403 G(allieniannae); p. 409 Onesigens al posto di Onesigenes.Spesso le parole in inglese moderno sono riportate in corsivo e mescolate allo scioglimento del testo antico.
Quanto ai nomi di città, Oescius data in Pannonia a p. 203 è forse Oescus della Mesia; Dyrrachium è in Epiro non in Macedonia (p. 388), mentre Philippolis apparteneva alla Tracia; a p. 389 Emona va posta in Italia.
Le storpiature non risparmiano le lingue moderne: a p. 308 altinata per altinate, p. 318 iluci per "i ludi", p. 330 region per regione, ma ciò vale anche per altre lingue, compresa quella inglese, p. 30 ditribution, a p. 45 sencond, p. 89 purchse, p. 89 custormes, p. 102 estalish (p. 249 estalishment), p. 151 sacrficial, p. 192 maintemance, p. 193, assingned, p. 239 asepcts (= aspects), p. 306 mannoscritta, p. 307 romishchen, p. 336 cite, p. 331 dicsusses, p. 372 Taffel.
Notes:
1. Sono ben tre le città del Veneto -- precisamente Patavium, Feltria e Vicentia -- in cui le epigrafi menzionano un'era locale. In base a un documento di quest'ultima città, A. R. Ghiotto ('Un numero di Vicetia in un'iscrizione della chiesa di S. Martino a Schio?', Aquileia nostra, 76, 2005, 178-187) pone per Vicenza la data di inizio all'89 a.C. Secondo G. Cresci Marrone ('Gli insediamenti indigeni della Venetia verso la romanità', Antichità altoadriatiche 68, 2009, 207-220, in particolare p. 210) questa data potrebbe valere anche per Patavium, anziché il 173 a. C. proposto da vari autori e anche dalla Liu. Se questo fosse vero, la data dell'iscrizione menzionante il collegium centonariorum di Patavium andrebbe posticipata di 84 anni.