Marco Beretta, Francesco Citti (ed.), Lucrezio, la natura e la scienza. Biblioteca di Nuncius / Istituto e Museo di storia della scienza, Firenze; 66. Firenze: Leo S. Olschki, 2008. Pp. vi, 237. ISBN 9788822258120. €26.00 (pb).
Reviewed by Fabio Tutrone, Università degli studi di Palermo
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Studiare Lucrezio, tentare di restituire spessore storico a questa controversa e affascinante figura, rappresenta, si sa, un'operazione ardua, spesso addirittura rischiosa.1 Un utilissimo contributo sulla linea di un simile percorso analitico viene, tuttavia, oggi dal volume in questione, riportante gli atti, opportunamente rivisti dai singoli relatori, di un seminario interdisciplinare svoltosi a Ravenna il 16 Novembre 2006. L'interesse di partenza della raccolta è di marca storico-scientifica, e non a caso i curatori Marco Beretta e Francesco Citti si sono distinti negli ultimi anni proprio nell'organizzazione di incontri miranti a collegare le discipline antichistiche con quell'universo delle scienze moderne e contemporanee da cui spesso latinisti e grecisti si sentono ingiustificatamente lontani. In realtà, il caso di Lucrezio, affrontato variamente nel corso del volume, dimostra invece come storia della scienza e storia della cultura lato sensu siano per necessità collegate ed interdipendenti: e ciò, per l'appunto, prima di tutto in ragione del quadro storico a cui tutti i saperi umani devono fare riferimento.
Seguendo la traiettoria di un inquadramento al contempo sincronico e diacronico del De rerum natura, i nove contributi componenti la raccolta si dispiegano, potremmo dire, su un duplice asse di approfondimento: i primi sei lavori insistono sul problema della collocazione concettuale di Lucrezio all'interno del mondo antico, laddove gli ultimi tre indagano specificamente il Fortleben moderno e contemporaneo della cultura poetico-scientifica lucreziana. In apertura, la relazione di Anna Angeli e Tiziano Dorandi introduce il lettore nel campo affascinante del sapere geometrico antico, rivelando attraverso un uso combinato di fonti papirologiche e fonti dossografiche l'atteggiamento fortemente critico assunto dagli Epicurei nei confronti della cosiddetta geometria euclidea. Punto nodale dello scontro, in cui si impegnarono adepti del Giardino appartenenti a generazioni diverse (da Polieno a Filonide, da Demetrio Lacone a Zenone Sidonio) fu la difesa della teoria dei minima, incompatibile con la dottrina della divisibilità all'infinito propria dei geometri: se è vero, come aveva insegnato il maestro Epicuro, che l'atomo non è ulteriormente scomponibile al di là degli ἐλάχιστα, le parti più piccole che lo compongono, allora ricusare il concetto di divisione infinitesimale della realtà (dei punti, delle rette e così via) diviene un obbligo ideologico per quegli Epicurei così impegnati nel mantenimento dell'ortodossia scolastica. Ciò che la Angeli e Dorandi fanno notare con particolare interesse è che questo attacco del Giardino al modello di Euclide non si limitò ad una mera pars destruens, ma cercò anche di fondare un paradigma alternativo di "geometria atomistica". Lucrezio, in questo contesto, si porrebbe alla fine del percorso, riassumendone "in maniera vigorosa ed efficace i risultati",2 soprattutto nell'esposizione centrale del I libro del poema (vv. 599-634 e 746-752). Il lettore del volume in esame potrebbe forse essere interessato a conoscere qualcosa in più sulla specifica posizione lucreziana in quest'ambito, ma è oggettivamente difficile riuscire a districare nel dettaglio relazioni intrascolastiche tanto sfuggenti quali quelle fra il poeta latino e i condiscepoli delle generazioni precedenti.
Subito dopo, invece, il saggio di Lisa Piazzi ci conduce nel vivo di un'analisi comparativa circa la ricezione lucreziana dell'eredità presocratica, riuscendo a mettere a fuoco assai bene i limiti e i pregi della parzialissima lettura offerta nel I libro del De rerum natura a proposito dei noti φυσιολὸγοι greci. Attaccando acremente i predecessori della Naturwissenschaft epicurea, nell'atto stesso di illustrarne la dottrina, Lucrezio dimostrerebbe, infatti, di mutuare un tipo di approccio espositivo proprio della dossografia antica, e, più in particolare, un fil rouge ideologico collegherebbe l'impostazione lucreziana a quella dei libri XIV e XV del Περὶ φύσεος epicureo, a sua volta risalente alla tradizione esegetica peripatetica. Tale sottolineatura di una soggiacente ascendenza aristotelico-teofrastea nell'architettura polemica del poema, per il tramite principale dell'insegnamento del maestro, riconnette le tesi della Piazzi (in gran parte già esposte in un precedente volume)3 a quel ricco filone della ricerca che negli ultimi decenni ha evidenziato opportunamente il debito di tutto il pensiero epicureo, e di Epicuro in primis, rispetto al portato della speculazione peripatetica.4 In tempi ancora più recenti, peraltro, i nessi argomentativi esistenti fra l'opera di Lucrezio e la tradizione del Peripato sono stati ulteriormente sviscerati sotto una serie di punti di vista che esulano anche dal solo problema dossografico.5 Non è questo, però, l'unico nucleo tematico in cui la Piazzi si accosta avvedutamente ad alcune linee fruttuose della corrente bibliografia lucreziana: quella ricerca di una storicità intrinseca alla poesia di Lucrezio che abbiamo indicato come uno dei tratti distintivi di tutto il volume si espleta, infatti, molto bene allorché la studiosa indica segnatamente dietro la polemica antieraclitea di I, 638 sgg. un probabile riferimento alla più attuale filosofia stoica, prosecutrice per certi aspetti del pensiero di Eraclito.6 Lucrezio, insomma, perde sempre più la maschera dell'isolato "fondamentalista epicureo", e tutto l'ambiente del Giardino, come ricorda la Piazzi, soprattutto dopo le nuove scoperte ercolanesi, appare contrassegnato da uno spirito polemico non solo distruttivo, nonché da un certo interesse "storico" verso le altre tradizioni speculative.7
Che il poema tutto ci restituisca l'immagine di un autore tutt'altro che folle e disperato nella propria anacronistica solitudine lo conferma anche lo studio di Ivano Dionigi, che riprendendo le osservazioni proposte in un suo precedente lavoro8 intorno al nesso fra parole e cose, elementa mundi ed elementa vocis, nella scrittura lucreziana, scaccia decisamente lo spettro geronimiano di un Lucrezio poète maudit ante litteram, "contradictory, pessimistic, without hope".9 Al contrario, quella vera e propria "grammatica cosmica" che il De rerum natura aspirerebbe a cristallizzare e condensare nella propria partitura linguistica rifletterebbe un messaggio di calma, di quiete sovrumana e naturale.
Alla suggestiva interpretazione di Dionigi, ricca di reminiscenze letterarie moderne, segue poi un saggio di Giovanni Di Pasquale inerente alla presenza della similitudine macchinistica nell'inventario illustrativo lucreziano. Si tratta dell'opera di uno storico della scienza, parzialmente lontano dalle discussioni antichistiche, ma non per questo il saggio in questione è privo d'interesse. L'influenza esercitata dal concetto di machina, e in generale da tutto quell'immaginario "tecnico" così rilevante nella storia materiale di Roma, sulle rappresentazioni cosmologiche del poema è senz'altro ben lumeggiata dal saggio di Di Pasquale, attraverso uno sguardo che allarga volentieri l'obiettivo ad una gamma più vasta di contesti e personalità. Tuttavia, alcune imprecisioni si affacciano qua e là nel corso del lavoro. È il caso di qualche traslitterazione dal greco, chiaramente imprecisa.10 O più ancora di talune semplificazioni argomentative, probabilmente meritevoli di un più vasto approfondimento. Se nel finale del II libro, ad esempio, Lucrezio dà voce al lamento dei contadini italici per la crescente infecondità della terra, ciò non vuol dire principalmente, sul piano storico, che "Lucrezio partecipi, tra l'altro, a una polemica che avrebbe trovato concordi molti scrittori del tempo e del secolo successivo contro la moda del latifondo":11 semmai, più precisamente, si potrebbe dire che la condanna lucreziana di ogni forma di laudatio temporis acti, laudatio osservata illuministicamente come un'incomprensione del ciclo organico implicito in tutte le cose,12 inglobi al suo interno anche un probabile riferimento storico ad alcune diffuse notazioni coeve, come la critica al latifondismo. Al centro del discorso dell'autore vi è, infatti, sempre la più ampia prospettiva della storia naturale, rispetto alla quale gli eventi del mondo umano sono accidenti ciclici, momenti transeunti di un meccanismo che solo la scienza epicurea può aiutare a rischiarare. Si potrebbe anche aggiungere che un tale meccanismo, per l'appunto, di cui Di Pasquale mette a fuoco utilmente le implicazioni tecnico-macchinistiche, è regolato parallelamente da criteri medico-biologici: il saggio in questione, a riguardo, avrebbe forse potuto evidenziare più esplicitamente il fatto che nozioni come quella di equilibrio/squilibrio, armonia/sbilanciamento, su un piano sistemico, riconnettano la cosmologia lucreziana non solo all'ambito delle machinae, ma anche a quello, strettamente connesso, della medicina classica, sapere "tecnico" non meno rilevante nell'immaginario naturalistico e filosofico antico.
Un opportuno riferimento all'importanza della visione biomedica per la scienza naturale di Lucrezio si trova invece nell'acuto saggio di Elisa Romano, immediatamente seguente, grazie al quale siamo condotti in un'esplorazione fascinosa circa la prospettiva lucreziana sul nuovo.13 Rappresentante di un "pensiero della novità" tipico della media e tarda repubblica, presso cui il nuovo è svalutato con diffidenza in favore dell'ordine esistente, l'autore del De rerum natura opporrebbe nella sua opera al ritmo ciclico della natura l'ansia di novitas propria dell'uomo. Sempre uguale la φύσις, in grado di produrre solo apparentemente del nuovo all'interno del proprio equilibrio stabile; perennemente alla ricerca di novità l'uomo, il cui asse prospettico è così sfalsato rispetto al piano oggettivo delle cose. L'unica autentica innovazione presentata sullo scenario poetico lucreziano sarebbe, quindi, la rivelazione del messaggio epicureo, capace di riconnettere la griglia cognitiva umana alla realtà fattiva del regno naturale.
Dopo il saggio esemplare della Romano, Philip Hardie illustra, invece, la varia fortuna del modulo espositivo epicureo-lucreziano delle spiegazioni multiple. Risalendo a Omero e Apollonio Rodio, per poi giungere a Ovidio, Lucano, Stazio e molti altri, Hardie costruisce un fondato percorso lungo la tradizione dell'epica antica, nel corso del quale i confini tradizionali fra epos didattico ed epos narrativo, volitività epica e mentalità scientifica, sembrano cadere giustificatamente.
Di seguito, la sezione conclusiva del volume concernente la fortuna moderna e contemporanea di Lucrezio si apre con un bel saggio di Francesco Citti, teso a indagare il Fortleben del nostro autore in età umanistica. Assai utile per comprendere l'origine storica di molti luoghi comuni fioriti intorno alla vita e alla personalità lucreziana, il contributo di Citti riesce, in particolare, a combinare l'attenzione per le problematiche culturali con una spiccata precisione nell'analisi linguistica, evidente nell'esame delle riprese letterarie operate dagli umanisti rispetto al testo del De rerum natura. Degna di nota, poi, una lista nutrita di hapax lucreziani, ottenuta incrociando i precedenti (e problematici) elenchi di Bailey, Wolff e Swanson:14 benché priva di pretese di completezza, per ammissione del suo stesso autore, tale lista ha il pregio di prestare la necessaria attenzione alle occorrenze riscontrabili presso eruditi e grammatici posteriori.
In penultima posizione, invece, lo studio di Michele Camerota affronta il tema del rapporto intessuto da Galileo col modello lucreziano: attraverso una carrellata mirata di testi galileiani lo studioso riesce a porre in luce la rimarchevole presenza, nell'opera del fisico pisano, di concetti scientifici risalenti al poema di Lucrezio, pur mai citato espressamente per prudenza nei confronti dei censori, oltre che per l'abitudine, tipica del tempo, di non svelare le proprie fonti.
Da un Galileo sostanzialmente "atomista", lettore recondito del De rerum natura, il saggio conclusivo di Marco Beretta ci trasporta invece in una galleria di scienziati più o meno noti che fra Rinascimento e Novecento parteciparono, direttamente o indirettamente, alla realizzazione di edizioni del poema. Si tratta di un comodo fil rouge prescelto dallo studioso per ripercorrere il Fortleben scientifico di Lucrezio, poeta che scopriamo di volta in volta esaltato, condannato, riabilitato e in ogni caso usato da lettori non necessariamente letterati. Il lavoro di Beretta non ha forse ricevuto una ultima manus, data la notevole quantità di refusi in esso presenti (talvolta si nota persino una certa tendenza "anglofonica" di chi scrive, come nel caso di alcuni aggettivi derivati da nomi propri comincianti in maiuscola).15 Nel complesso, tuttavia, Beretta riesce a sottolineare assai bene il rilievo assunto da Lucrezio non solo come fisico, ma anche come biologo nel sapere scientifico moderno. È una voce, insomma, quella del poeta, che si sbaglierebbe a etichettare come di mero interesse antichistico, vibrante com'è, ancora, nelle parole di Albert Einstein.16
Table of Contents
Marco Beretta - Francesco Citti, Premessa Pag. V
Anna Angeli - Tiziano Dorandi, Gli Epicurei e la geometria. Un progetto di geometria antieuclidea nel Giardino di Epicuro? 1
Lisa Piazzi, Atomismo e polemica filosofica: Lucrezio e i Presocratici 11
Ivano Dionigi, Lucretius, or the Grammar of the Cosmos 27
Giovanni Di Pasquale, Il concetto di machina mundi in Lucrezio 35
Elisa Romano, Tempo della storia, tempo della scienza: innovazione e progresso in Lucrezio 51
Philip Hardie, Lucretian multiple explanations and their reception in Latin didactic and epic 69
Francesco Citti, Pierio recubans Lucretius in antro: sulla fortuna umanistica di Lucrezio 97
Michele Camerota, Galileo, Lucrezio e l'atomismo 141
Marco Beretta, Gli scienziati e l'edizione del De rerum natura 177
Indice dei nomi 225
Notes:
1. Desidero ringraziare sentitamente la Fondation Hardt pour l'Étude de l'Antiquité Classique di Ginevra per il prezioso soggiorno offertomi durante la preparazione di questa recensione.
2. Cfr. p. 8.
3. L. Piazzi, Lucrezio e i Presocratici. Un commento a De rerum natura 1, 635-920, Pisa 2005. Anche il lavoro di Angeli-Dorandi, del resto, ha un suo antecedente fondamentale nell'articolo degli stessi studiosi intitolato Il pensiero matematico di Demetrio Lacone, "Cronache Ercolanesi" 17 (1987), pp. 89-103.
4. Basterà qui ricordare, a parte gli storici studi di E. Bignone, L'Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro, 2 voll., Firenze 1936, il saggio di J. Mansfeld, "Epicurus Peripateticus" in A. Alberti, Realtà e ragione. Studi di filosofia antica, Firenze 1994, pp. 29-47, e quello di M. Gigante, Kepos e Peripatos. Contributo alla storia dell'aristotelismo antico, Napoli 1999. Del caso particolare di Lucrezio sotto quest'aspetto marcatamente dossografico, in ripresa per l'appunto dell'approccio peripatetico, avevano già trattato, fra gli altri, W. Rösler, "Lukrez und die Vorsokratiker. Doxographische Probleme im I. Buch von 'De rerum natura'", in C. J. Classen (hgg. v.), Probleme der Lukrezforschung, Hildesheim 1986, pp. 57-73, J. Mansfeld, "Doxography and dialectic. The Sitz im Lebenof the 'Placita'", in ANRW II.36.4., pp. 3056-3229 (pp. 3153-3154 sul I libro lucreziano), e D. Sedley, Lucretius and the Transformation of Greek Wisdom, Cambridge 1998, pp. 123-126 e 145-146.
5. Mi limito a rimandare al mio recente "Lucrezio e la biologia di Aristotele. Riflessioni sulla presenza dell'opera aristotelica nel De rerum natura e nella cultura greco-latina del I secolo a. C.", in Bollettino della Fondazione Nazionale V. Fazio Allmayer, XXXV, nr. 1-2, (2006), pp. 65-104, e alla bibliografia ivi menzionata.
6. Cfr. pp. 14-15.
7. Cfr. p. 17 nota 22.
8. I. Dionigi, Lucrezio. Le parole e le cose, Bologna 1988.
9. Cfr. p. 33.
10. summetría a p. 37, oppure Περὶ φύσεος a p. 40.
11. Cfr. p. 47.
12. Si veda soprattutto, nell'elegante chiusa del libro, la significativa descrizione dell'ignoranza del contadino (nec tenet, v. 1173), incapace di riconoscere le vere cause dei fenomeni e per questo dedito a passatistiche lamentazioni.
13. Fra i principali campi metaforici implicati nella rappresentazione dell'irruzione del nuovo la Romano riconosce nitidamente, sulla scorta di Fowler, quello della malattia organica. Cfr. pp. 51-53.
14. Cfr. pp. 109-113.
15. "Galenica e Ippocratica" a p. 189, o "in Italiano" a p. 199.
16. Cfr. l'introduzione curata da A. Einstein per l'edizione lucreziana di H. Diels, T. Lucretius Carus. De rerum natura. Lateinisch und Deutsch, Band II, Berlin 1924, pp. VIa-VIb, a cui fa riferimento Beretta (p. 221), menzionando opportunamente l'articolo di W. Rösler, "Hermann Diels und Albert Einstein: die Lukrez-Ausgabe von 1923/24", in Hermann Diels (1848-1922) et la science de l'antiquité. XLV Entrentiens Hardt préparés et présidés par W. M. Calder III e J. Mansfeld, Vandoeuvres-Genève 1999, pp. 261-294.
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