Reviewed by Saulo Delle Donne, Università del Salento (saulo.delledonne@ateneo.unile.it)
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Il volume raccoglie gli Atti del convegno, di cui mutua il titolo, tenutosi a Rovereto nell'ottobre 2006 presso l'Accademia degli Agiati. Se è sempre difficile dare conto, in modo sintetico e senza troppi 'sacrifici', dei contenuti di un libro, questa difficoltà è ben maggiore qualora il libro - come in questo caso - sia una miscellanea. Si può qui, però, almeno cercare di dare un'idea di ognuno dei contributi che lo compongono e provare, così, a far cogliere, assieme alla complessità e all'indubbio fascino del tema affrontato, anche il taglio e il valore complessivo del libro medesimo. Come si avrà modo di intravedere, infatti, il convegno roveretano è stato di certo una preziosa occasione per discutere della scoliografia antica o, più in generale, di quel patrimonio esegetico-interpretativo "in margine ai testi antichi" che si è concretizzato nei corpora scoliastici medievali, ma anche in commenti autonomi, parafrasi, lessici ed etymologica, richiamando per altro l'attenzione dei filologi moderni fin da epoca umanistica. E a Rovereto, accanto a studiosi noti da tempo per aver praticato questi argomenti (F. Montana, F. Montanari, R. Tosi), sono intervenuti anche dottorandi e dottori di ricerca (D. Cufalo, A. Martano, G. Merro, M. Taufer, V. Turra, G. Ucciardello), o giovani studiosi già affermati (F. M. Pontani), alcuni dei quali, per altro, nelle more della curatela di questi Atti, hanno anche pubblicato ulteriori contributi.1
Nell'intervento di F. Montanari ("Glossario, parafrasi, edizione commentata nei papiri", pp. 9-15) spicca la nuova definizione di 'edizione commentata' in sostituzione di quella di 'edizione a lemmi continui'. Essa è legata ad una tipologia libraria ed esegetica che era già nel noto P. Lille callimacheo, ma che ora è testimoniata anche dal P. Fay. 3 della fine del I sec. d.C., contenente i Topica di Aristotele. In questo papiro, il testo aristotelico è presente per intero, ma diviso in porzioni; ad ognuna di queste segue--collocata in eisthesis--la relativa esegesi e tale esegesi è una parafrasi, ma occasionalmente presenta anche elementi aggiuntivi di spiegazione e segnalazioni di punti difficili. Insomma, non si tratta in senso proprio né di uno hypomnema né di una parafrasi né di un glossario. E se si tiene conto che il papiro precede di quasi due secoli la grande stagione dei sistematici commentari aristotelici di Alessandro di Afrodisia, si potrebbe pensare che questo tipo 'speciale' possa (ma non a forza) anticipare e preparare a più grandi e completi commenti, quali appunto, nel caso di Aristotele, quelli di Alessandro.
F. Montana ("L'anello mancante: l'esegesi ad Aristofane tra l'antichità e Bisanzio", pp. 17-34) affronta il complesso quanto annoso problema dell'origine della scoliografia. A tal fine egli sceglie di soffermarsi, sia da un punto di vista tipologico che di storia del testo, sulla testimonianza dei papiri di Aristofane e non tutti i papiri, ma proprio quei papiri che si collocano in età tardo-antica (tra IV e V secolo), provengono da codices (e non da volumina) e conservano diverse note marginali spesso in continuità con gli scoli medievali: BKT IX 5 (= Aristophanes 6 CLGP) ~ Sch. vet. Aristoph. Equ. v. 580c; P.Oxy. 1371(= Aristophanes 13 CLGP) ~ Sch. vet. Aristoph. Nub. 2a; P. Acad.inv.3 d + Bodl. Ms. gr. class. f.72 (= Aristophanes 5 CLPG) ~ Sch. vet. Aristoph. Equ. 84b; MPER N.S. I 34 + P.Vindob. G. 29833 C verso, rr. 6-9 + P. Duke inv. 643 recto (= Aristophanes 17+18 CLGP) ~ Sch. vet. ad Aristoph. Pax 466.
Dal punto di vista della storia del testo, diversi sono i papiri aristofanei che presentano note in continuità (letterale o di contenuto) con le corrispondenti note degli scholia medievali, ma tali coincidenze si hanno solo per alcune note dei papiri (e non per tutte) e, nel caso di quelle di contenuto, il papiro offre di norma una versione più accorciata e sintetica. Evidentemente, papiri e manoscritti medievali usavano fonti comuni, ma in modo autonomo l'uno dall'altro. Ma al riguardo si può dire anche qualcosa di più."I frequenti casi di contiguità trovano spiegazione nella derivazione da fonti comuni perdute in forma di hypomnemata. In base alla testimonianza delle sottoscrizioni presenti nel Marc. gr. 474 a Nuvole, Pace e Uccelli (...) e fino a prova contraria, non possiamo escludere che queste fonti siano oggi l'anello mancante della catena tradizionale che lega l'antichità all'età foziana: hypomnemata tardo-antichi, estremi eredi della lunga stagione iniziata nell'Alessandria tolemaica, a loro volta ampiamente rimaneggiati e stratificati nel corso del tempo, ancora circolanti in epoca avanzata (...) come scritti di autore e non anonimi, destino non insolito delle opere erudite" (p. 26).
Dal punto di vista tipologico, infine, significativi sono i casi, ad es., dei P. Oxy 1317 e BKT IX 5: essi presentano numerose note, ma tali note sono vergate da mani differenti (almeno due nel primo e quattro nel secondo caso), spesso sono solo semplici notae personae o note glossografiche che non trovano corrispondenza negli scholia medievali, e, infine, si dislocano sui margini quasi stratificandosi. Insomma, quello dei papiri anche tardo-antichi "è un modo di operare che si colloca a metà tra la prassi di apporre episodicamente delle note estraendole da una fonte o creandole al bisogno...e la tessitura di contributi sistematicamente tratti da una selezionata rosa di modelli esegetici, che caratterizza gli scoli medievali. Nella sostanza, il peculiare procedimento scoliastico della compilazione di fonti esegetiche diverse, attuato in modo unitario e sistematico, risulta estraneo agli annotatori dei papiri aristofanei conservati. Questa diversità, che sarebbe riduttivo intendere in termini meramente quantitativi (...) costituisce il principale elemento di discontinuità fra il tipo rappresentato dalle note dei papiri e gli scoli e impedisce di negare (...) la differenza (novità) dell'impresa redazionale di epoca mediobizantina" (p. 30).
Il P. Genova II 52 del III d.C., contenente un elenco di lemmi di un lessico (i relativi interpretamenta sono perduti), il P. Berol. inv. 9965 del III-II a.C. (MP3 2121.01 = LDAB 7028), tra i più antichi lessici su papiro, ed il P. Oxy. 2637 (MP3 1943.3 = LDAB 4820), dagli editori definito 'Commentary on choral lyric', ma fornito anche di elementi glossografici, interessano direttamente G. Ucciardello ("Esegesi linguistica, glosse ed interpretamenta tra hypomnemata e lessici. Materiali e spunti di riflessione", pp. 35-83). L'A. vorrebbe offrire un "piccolo inventario di problemi (vecchi e nuovi) relativi ai più antichi lessici papiracei ed ai rapporti tra esegesi linguistica negli hypomnemata su papiro, l'altro grande prodotto dell'erudizione antica, e lessicografia tout court" (p. 36). Il suo intervento, pero, è tutt'altro che 'un piccolo inventario'. Sia del P. Berol. inv. 9965 che del P. Oxy. 2637 offre un'edizione critica con apparato testuale, includendo per il primo un ampio apparato di fonti e per il secondo specifiche note di commento. Non manca, poi, di correggere o completare le informazioni e le osservazioni precedentemente fatte da editori o studiosi (per il P. Genova II 52 quanto affermato da Klaas Worp2 e per il P. Oxy. 2637 le tesi di K. McNamee).3 Offre un'ampia serie di note anche di storia delle fonti. Così, per il P. Berol. inv. 9965, si deve qui segnalare almeno che le due spiegazioni βλοσυρός: μιαρός e βλοσυρός: μιαρόν potrebbero essere un'esegesi autoschediastica di Aesch. Eum. 167, autore poco studiato (per quel che si sa) nel III a.C. e dal lessicografo di questo papiro per la prima volta excerptato. Notevole anche che questo papiro attesti, tra i suoi lemmi, hapax assoluti (βλύδιον, βουρειόνες da considerare forse poeticismi o termini della lingua parlata. Notevoli ancora le voces Athenienses tratte da Aristofane o dalla commedia antica in genere o forse da lessici specifici, attici o relativi alla commedia: βεμβικίζει: στρέφει, βλάξ: μῶρος: Ἀθηναῖοι, βλειμάζει: βαστάσει: Ἀθηναῖοι (nell' Appendice l'A. offre anche un primo studio sulla terminologia antica per queste voces sulla base di Ateneo, Esichio e Frinico). Infine, nel caso del P. Oxy. 2637, si sofferma a ripercorrere le vie dell'esegesi attorno al lemma αὔχα, fatta inclusione anche della più diffusa forma verbale αὐχεῖν/χαυκᾶσθαι, individuando 8 passi utili, tratti da autori antichi come Pindaro (Pind. Ol. IX 38) e Licurgo (περὶ τῶν μαντεὶων fr. 1 Conomis), che di questa storia sono all'origine, ma anche da etimologici, da vari lessici generali o ai retori (dall'Antiatticista al Lex. Rhet. di Bekker, al Suida) ed anche dall'inedito Lex. Rhet. Vaticanum (cod. Vat. gr. 7 del 1310) noto anche come Lessico di Giorgio Francopulo (fr. 71 dell'edizione dall'A. in corso di preparazione), che è l'unico a proporre un'attribuzione della dottrina circa l'esegesi di αὐχεῖν con καὐχᾶσθαι, attribuzione ad un Eudemo retore nel secondo libro di un suo περὶ ῥητορικῶν ἀφορμῶν.
Oggetto dello studio di A. Martano ("L'esegesi antica allo Scudo di Eracle nell'Etymologicum Genuinum e Gudianum", pp. 85-119) è la tradizione indiretta relativa all'esegesi in margine allo Scutum di Esiodo, in particolare quella attestata nell'Etym. Genuinum, nell'Etym. Magnum e nell'Etym. Gudianum. Forte delle moderne edizioni di questi lessici e della consultazione diretta dei due mss. A (Vat. gr. 1818) e B (Laur. S. Marci 304) dell'Et. Genuinum, individua numerosi casi in più di accordo tra gli scoli e questi etymologyca rispetto alla lista proposta da C. F. Russo.4 Si tratta in ordine: di ben 11 casi di accordo tra scoli ed Etym. Genuinum (Sch. vv. 20 e 30; v. 79; v. 122; v. 134; v. 181; v. 223; vv. 287+288+289; v. 291; v. 348; v. 387; v. 397); di un 1 caso di parziale corrispondenza sempre con l'Etym. Genuinum (Sch. v. 301); di almeno 5 casi in più di accordo sempre con il Genuinum, ma - cosa trascurata del tutto da Russo - questa volta a livello già di lemma (Sch. v. 70; 192; 208; 224; ed anche, ma meno probabilmente, al v. 293). Di questi casi l'A. offre, poi, una dettagliata analisi, giungendo ad una conclusione articolata in 10 punti, tra i quali segnalo:
1) verisimilmente derivano recta via dal corpus scoliastico anche le voci il cui lemma è una parola attestata da Esiodo, ma la cui successiva spiegazione non cita né Esiodo né lo Scutum;
2) il compilatore dei lessici interviene poco e, quando lo fa, ricorre di solito ad un σημαίνει, limitandosi a varianti sinonimiche o di tipo glossa;
3) il commento utilizzato dagli Etymologica doveva già essere di tipo marginale, evidentemente della prima metà del IX sec., e fornito oltre che di scoli anche di glosse;
4) questo commento, però, non si può avvicinare a nessuno di quelli che leggiamo oggi nei codici, tranne per il dato generico che esso pare simile ai commenti che ce lo conservano nella forma più antica, ragion per cui occorre pensare piuttosto alla presenza di un archetipo comune, probabilmente coevo alla redazione degli Etymologica medesimi;
5) quanto alla constitutio textus dello Scutum il commento utilizzato dal Genuinum "va (...) tenuto in considerazione pari ai codici R2WFVBLZ Λ e X, nonché, laddove necessari, anche a Q e R3" (p. 117).
Grazie all'esperienza ecdotica maturata con la nuova edizione degli Scholia Graeca in Platonem (Roma 2007), D. Cufalo ("Platone e i suoi commentatori", pp. 121-137) a proposito degli scoli di contenuto filosofico-interpretativo 'in margine' a Platone evidenzia: "è palese, per i corrispondenti dialoghi, la derivazione dai commenti di Proclo a Parmenide ed Alcibiade I, di Hermias a Fedro, di Olimpiodoro a Fedone, Alcibiade I e Gorgia, ma reperiamo una manciata di scoli filosofici, pur di ignote origini, anche in margine a Sofista (nrr. 2, 5, 7), Eutidemo (nr. 40 e forse anche 1), Protagora(nrr. 8, 9, 23, 31, 36 e parte del 35), Menone (nr. 12, 14-23, 25-28, 32-34), Ippia Maggiore (nrr. 16, 20-23), e, in una misura ben più significativa, a Teeteto e, di nuovo, Gorgia" (p.123). Per questi ultimi scoli di ignote origini Mettauer5 pensò a Proclo come fonte, visto che proprio Proclo era citato in Theaet. 38, ma si potrebbe fare anche il nome di Olimpiodoro, visto che sono presenti frequenti citazioni di Omero e che Olimpiodoro amò molto citare questo autore e pare possa aver commentato anche il Teeteto ed il Sofista.
Che i commentari platonici tardo-antichi fossero, però, a disposizione a Bisanzio all'inizio del IX--come suggeriva già Westerink--6 è evidente per via dei legami che si possono individuare tra i commentari di Hermias o di Proclo ed i manoscritti della celebre 'Collezione Filosofica'. Il cod. Marc. gr. 196 di Olimpiodoro, che appartiene a questa collezione, inizia infatti a commentare il testo platonico proprio dallo stesso punto in cui cominciano gli scoli. Evidentemente utilizzano lo stesso commentario. Questo non significa che lo utilizzino nello stesso manoscritto testimone di esso, giacché--per quanto valga un argumentum ex silentio--gli scoli non utilizzano mai i commentari di Damascio, che invece nel ms. marciano in questione sono presenti.
Per quanto riguarda, poi, gli scoli filologico-grammaticali, l'A. ritiene "che furono trascritti in un momento successivo a quelli filosofici e solo in una parte della tradizione" (p. 125). Però, anche per questi scoli--di nuovo sulla base del Marc. gr. 196--si deve ammettere una stretta connessione con la 'collezione filosofica'. Nel detto ms., infatti, compare un gran numero di glosse dello stesso tipo di questi scoli, glosse che, quindi, hanno poco a che fare con gli interessi dei commentari di un Olimpiodoro o di Damascio, ma sono piuttosto frutto della consultazione di lessici, raccolte, glossari, enciclopedie. E in una ventina di casi queste glosse del Marc. gr. 196 coincidono con quelle degli scholia vetera a Platone. In un caso (Sch. Ol. in Plat. Gorg. 158.25-26 nel ms. Marc. gr. 196 = Sch. vet. in Plat. Gorg. 314) tra i due corpora compare un passo identico ed anche corrotto allo stesso modo. Non si può, però, pensare alla derivazione l'uno dall'altro. Numerosi sono, infatti, anche i casi in cui, invece, il redattore degli scoli filologico-grammaticali presenti nel ms. di Olimpiodoro redige i suoi scoli in modo differente da quanto fa il redattore degli stessi scoli in margine a Platone (Sch. Ol. in Plat. Gorg. 88.27-32 vs. Sch. vet. in Plat. Phaedr. 22 circa l'etimologia di Areopago; Sch. Ol. in Plat. Alc. 43.11 vs. Sch. vet. in Plat. Alc. I 6 circa l'efebia in Atene; Sch. Ol. in Plat. Phaed. 11.12.2 vs. Sch. vet. in Plat. Resp. 10.606c circa la βωμολοχὶα.
G. Merro ("L'esegesi antica al Reso", pp. 139-150), richiamando l'attenzione su scoli come quelli ai vv. 5, 540 e 528, avanza l'ipotesi che in epoca antica sia esistito un commentario specifico al Reso di Euripide. Questi scoli, infatti, presentano una prassi espositiva particolare: ad una pars destruens a danno delle opinioni di Cratete di Mallo segue una pars construens a favore delle opinioni di Aristarco o del suo allievo Parmenisco. Evidentemente, allora, qualcuno - un commentatore appunto - deve essersi preoccupato di raccogliere questo materiale e organizzarne l'esposizione. E si può anzi ipotizzare che questo commentatore sia proprio il citato Parmenisco. La conferma di ciò viene da ulteriori scoli quali in specifico--dopo quelli già segnalati da Breithaupt--7 lo scolio al v. 523 che riporta l'esegesi di Parmenisco alla forma avverbiale προταινί che è attestata solo nel Reso, e lo scolio al v. 342, in cui si riportano in modo anonimo le notizie genealogiche su Adrastea, notizie che, come sappiamo da Igino, provenivano da Parmenisco.
Questo primo commentario al Reso, però, deve aver subíto, a sua volta, un'opera di consultazione e citazione. Lo indica chiaramente lo stato redazionale dello scolio al v. 528, in cui è una voce anonima a riportare, condividendola, la tesi di Parmenisco. Il commentario di Parmenisco, quindi, deve essere stato ampiamente utilizzato da parte di un secondo commentatore. E per quest'ultimo diversi elementi farebbero pensare--contra Wilamowitz e più di recente A. Burlando--8 proprio a Didimo Calcentero.
V. Turra ("Sul valore di alcune categorie critiche negli Scholia vetera al Filottete", pp. 151-171) innanzitutto redige un'ampia classificazione sia delle tipologie di commento (dalla critica letteraria alle notizie erudite, dalle segnalazioni di metafore alle notazioni di psicologia dei personaggi, dalla correptio in iato ai casi di ἀφαίρεσις intesa però come caduta del Σ all'interno di parola) sia delle formule od espressioni tecniche (da γράφε o γράφεται a λέγει o βούλεται λέγειν éo εἴπεῖν, da ὁ δὲ νοῦς a κεχίασται) presenti nel corpus esegetico al Filottete di Sofocle (ved. anche la raccolta nell'Appendice, pp. 164-167). Dopo di che, si sofferma sul caso dello scolio a Aesch. Phil. 1116, che spiega il verso πότμος σε δαιμόνων. Si tratterebbe di un conglomerato di più sezioni di esegesi o--che è lo stesso--di più scoli, in particolare tre:
a) il primo spiega solo il v. 1116 e con un λείπει ipotizza l'omissione di un ἐκ prima di δαιμόνων, mentre con un γάρ introduce la spiegazione in chiaro;
b) il secondo coinvolge anche i versi successivi e pensa alla costruzione ἀπὸ κοινοῦ del verbo ἔσχεν presente al v. 1118, facendo, quindi, subito seguire la costruzione semplificata del testo sofocleo tramite la formula τὸ δὲ ἑξῆς qui usata non per legare--come più comune--due scoli o due parti di scolio, ma per introdurre la parafrasi successiva;
c) il terzo infine con un ὁ δὲ νοῦς introduce una parafrasi dell'intero brano a restituire più il 'senso' che non la 'lettera' del testo.
L'attenzione di R. Tosi ("Note ad alcuni scoli ad Aristofane (Eur. fr. 588a K.)", pp. 173-180) si sofferma sul fr. 588a Kannicht del Palamede di Euripide quale tradito dallo Sch. vet. in Aristoph. Thesmoph. 771, scolio conservato solo nel noto cod. Ravennate 429 (in sigla R), codex unicus per le Tesmoforiazuse. Lo scolio, in base al suo dettato testuale completo (e non quello parziale adottato da Kannicht!), si articola in due parti distinte: nella prima dice che Palamede fa scrivere al fratello Eace la notizia della propria morte sulle navi (εἰς τὰς ναῦς) nella speranza che esse prima o poi giungano al padre Nauplio (ἔλθωσιν εἰς τὸν ναύπλιον τόν πατέρα αὐτοῦ) come portate da sole (φερόμεναι ἑαυταῖς) la seconda, invece, riferisce che Eace scrive la notizia su numerose pale di remo (πολλαῖς πλάταις), per poi lasciarle andare per mare (ἀφίησιν εἰς θάλασσαν), di modo che almeno una capiti nelle mani di Nauplio (προπεσεῖν). Di queste due notizie, è da preferire la prima, perchè è logicamente più sensata e perchè è più coerente con il contesto aristofaneo in cui il Parente, catturato dalle donne, pensa di chiamare in soccorso Euripide, lasciandosi dietro qua e là delle tavolette (ἀγάλματα) come un novello Palamede. Constata questa duplice articolazione dello scolio, se ne può, però, anche intravedere la genesi. "La prima parte non può che essere vista come il frutto di un processo di questo genere: una tendenza banalizzante portò a sostituire πολλαῖς πλάταις con un generico εἰς τὰς ναῦς [e siccome εἰς τὰς ναῦς sono parole del testo aristofaneo, la loro sostituzione costituisce un'eccezione al principio secondo cui il 'nucleo' della citazione testuale di partenza è al riparo da cambiamenti nel corso di ulteriore tradizione!], il fatto che Nauplio si imbattesse in almeno una di esse in un vago ἔλθωσιν εἰς τὸ ναύπλιον (lo scoliasta precisa che questo personaggio era il padre di Palamede, perché, forse, si rivolgeva a studenti); il testo che ne risultò, in cui si aveva anche un sibillino φερόμεναι ἑαυταῖς, dovette ad un certo punto indurre un fruitore nell'insana tentazione di intepretare i 'remi' come sineddoche delle navi, e riscrivere quindi l'episodio in modo del tutto diverso. Un ultimo scoliasta (quello di R o un suo predecessore), volendo dar vita a un commento ad Aristofane che sussumesse tutte le precedenti interpretazioni, riprese entrambe e le accostò, reputando che fossero radicalmente differenti, e non sapendo ovviamente più quale delle due fosse l'esatta" (pp. 175-176).
M. Taufer ("Marginalia eschilei di Jean Dorat. Otto emendamenti all'Orestea, pp. 181-199) si occupa di alcuni passi dell'Orestea eschilea, sui quali potrebbe essere intervenuto Jean Dorat, latinamente noto come Ioannes Auratus. L'A. non se ne era occupato nella sua precedente monografia,9 perché esse compaiono anonime sui margini di 10 copie dell'Eschilo edito da Vettori ed Estienne nel 1557, ovvero:
1-3) Universiteitsbibl. di Leida = 756 D 21 annotata dallo Scaligero; 756 D 22 annotata da Portus; 756 D 23, annotata da Bourdelot;
4-5) Cambridge Univ. Library = Adv. B 3. 3 annotata da Casaubon; Adv. C. 25. 5 con emendamenti anonimi ma ascritti a Dorat stesso, Portus o Casaubon;
6-7) British Library = 832.k.26 apografo dei marginalia di Emeric Bigot; 11705.d.2 con note di varia provenienza;
8-9) Bodleian Library = Auct. S. 6.16 con note di varia provenienza; MS. Rawl. G 190 con note di varia provenienza;
10) National Art Library di Londra = Dyce coll. M 4to 113 annotata da tre mani diverse.
Oggi, però, l'A. ritiene che esse possano attribuirsi a Dorat con una buona dose di attendibilità, sulla base di attribuzioni già fatte da Hermann (edizione del 1852) o West (1998) oppure di attribuzioni che qui vengon fatte per la prima volta. I casi in questione sono:
1) Aesch. Ag. 134 οἴκω Σ Ω - ῳ T: οἴκτῳ Aur[atus], Scal[iger];
2) Aesch. Ag. 963 δειμάτων codd.: δ'εἰμάτων Aur[atus], Cant[erus];
3) Aesch. Ag. 1165 δυσαγγεῖ codd.: δυσαλγεῖ Aur[atus], Cant[erus];
4) Aesch. Ag. 1362 κτείνοντες codd.: τείνοντες Aur[atus], Cant[erus];
5) Aesch. Ag. 1511 παρέξει edd.: προσβαίνων codd., προβαίνων Aur[atus], Cant[erus];
6) Aesch. Ag. 1511 ἐν πυροῖς codd.: ἐμπύροισι Aur[atus], Cant[erus];
7) Aesch. Ag. 1018-1020 versus non Oresti (sicut M), sed Coro trib. Aur[atus], Cant[erus];
8) Aesch. Ag. 311 ἅμα codd.: ἁμά Aur[atus], Cant[erus].
F. M. Pontani ("Gli scoli omerici e il senso del mondo. Storie e progetti da Faesch a Valckenaer, da Villoison e Tychsen a oggi", pp. 201--233), infine, ripercorre le tappe che hanno condotto alle edizioni del corpus degli scholia all'Iliade e all'Odissea e che rendono urgente sostituire quella degli scoli odissiaci di Dindorf, a dimostrare la cui insufficienza l'A., in chiusa ed in un'Appendice, discute il testo degli scoli ad α 346-352.
In questa storia, prima di Villoison, si possono individuare almeno due fasi distinte: la prima giunge fino a quasi tutto il XVII sec., la seconda dal secondo quarto del XVII sec. arriva fino al Villoison. Nella prima fase, si registrano quasi esclusivamente editori del testo omerico, i quali per altro si vantano sempre di aver usato manoscritti assai preziosi (Antonio Franchini, Henri Estienne, Hubert von Giffen). Solo Konrad Hornei scelse di dedicare le sue cure a scoli omerici, stampando gli Scholia Townleyana (scholia T) del solo libro IX dell'Iliade. Però, si registrarono anche alcune notevoli ricerche erudite: il De vita et scriptis Porphyrii di Lucas Holste, la Dissertatio inauguralis de fato scriptorum Homeri per omnia saecula di Johann Rudoplh Wettstein, che dà notizia degli odierni Amstelod. 338 e Paris. Gr. 2682 e di un terzo codice, che gli venne segnalato da Sebastian Faesch (forse nell'ottobre del 1678), codice particolarmente prezioso e che è da identificare o con il celebre Venetus A o con il Venetus B, scoperti quindi ben prima del Villoison; la Historia critica Homeri di Ludolf Kuester (Francofurti ad Viadrum 1696), prima importante summa delle conoscenze su Omero, anche se, per i manoscritti, riprende le notizie già in Wettstein.
Nella seconda fase si dà finalmente attenzione anche ai corpora scoliastici, ma questo viene fatto in maniera disordinata ed episodica. Dopo la pubblicazione a cura di Barnes nel 1711 degli Scholia D all'Iliade e degli Scholia V all'Odissea si registrano: l'edizione degli scoli al primo libro dell'Iliade dal Venetus B ad opera di Bongiovanni; l'edizione a cura di L. C. Valckernaer degli scoli al canto X dell'Iliade dal Leid. Voss. Gr. 64, nella quale per altro compare anche un'importante introduzione metodologica su natura e limiti di glosse interlineari, parafrasi e scholia, con attenzione al ruolo degli excerpta di Porfirio e alla dinamica di stratificazione; l'edizione a cura di C. F. Matthei degli scoli al libro XXIII dell'Iliade dal Mosq. Synod. 75. Nello stesso tempo viene sperimentato un layout tipografico del tutto nuovo da E. Wassenbergh, allievo di Valckenaer: il testo greco (secondo l'editio princeps di Calcondila del 1488) è posto sulla pagina a sinistra in alto; a fronte sull'altra pagina, sempre in alto, compare la parafrasi greca tratta dal cod. Amstedol. 3888, in calce, su entrambe le pagine, è posta la fitta serie degli scoli tratti da sei fonti differenti (Scholia D dell'editio romana del 1517, scoli del Venetus B editi dal Bongiovanni, i commentari di Eustazio; il cod. Leid. Voss. Gr. 64; il codice citato Amstelod. 388; il cod. Lips. Gr. 32).
Rispetto a questo pur lungo passato, però, è solo con Villoison che inizia "l'età d'oro degli studi omerici in Europa" (p. 213). Egli, infatti, scopre il Venetus A attorno al luglio del 1779, subito ne pianifica un'edizione che si realizza--come noto--nel 1788 in cui dà alle stampe gli scoli del Venetus A, del Venetus B e del Lips. Gr. 32. Tuttavia l'edizione presentava, da una parte, una lunga quasi sovraccarica introduzione in cui la storia del testo e dell'erudizione omerica antica affogava in un eccesso di dettagli e di erudizione, e, dall'altra, l'omissione della questione dei rapporti tra le collezioni di scoli. A queste due lacune diedero risposta poco dopo, rispettivamente, F. August Wolf (Prolegomena ad Homerum) e T. C. Tychsen (rec. all'edizione di Villoison del 1788 in Bibliothek der alten Litteratur und Kunst 5, 1789, pp. 26-55, recensione importantissima, ma presto caduta in oblio) che già divide i corpora scoliastici in due classi, l'una facente capo al Venetus A, e l'altra al Venetus B, battezzando lui per primo gli scoli della seconda classe come "scoli esegetici".
In questa lunga storia degli studi omerici del tutto minima l'attenzione per l'Odissea. Si ebbero, sì, ben tre edizioni di scoli, ma furono solo edizioni 'locali', cioè da singoli codici: l'edizione viennese a cura di Alter (a. 1794); quella londinese di Porson (a. 1800); quella ambrosiana di Angelo Mai (a. 1819). La svolta editoriale fu segnata solo dall'edizione "sinottica internazionale" curata da Philipp Buttman nel 1821, poi soppiantata da quella di Dindorf nel 1855, ancora oggi corrente. Questa edizione mise a frutto l'edizione di Buttman e l'aumentò con gli scoli editi da codici di Amburgo a cura di Preller (a. 1839) e con gli scoli in codici Harleiani editi da Cramer (a. 1841). Una possibile spiegazione di questo ritardo nei confronti dell'Odissea è molto probabilmente in un senso di limitazione e di mancanza di entusiasmo che si dovette sentire per la mancanza di un codice di pari importanza quale il Venetus A, come già lamentava Villoison alla fine dei suoi Prolegomena.
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1. Il volume raccoglie anche il contributo di A. Martano, il suo intervento, però, non fu possibile inserirlo nel programma del Convegno. Tra i contributi successivi, ved. ad es.: Scholia graeca in Platonem, edidit D. Cufalo, vol. I. scholia ad dialogos tetralogiarum I-VII continens, Roma 2007; Scholia graeca in Odysseam, edidit F. Pontani, vol. I. Scholia ad libros α-β, Roma 2007.
2. K. A. Worp, "P. Genova II 52: a link with Hesychius?", ZPE 156, 2006, pp. 185-193.
3. K. McNamee, Marginalia and Commentaries in Greek Literary Papyri, Durham 1977.
4. Hesiodi Scutum, testo critico e commento con traduzione e indici a cura di C. F. Russo, Firenze 1965.
5. T. Mettauer, De Platonis scholiorum fontibus, Turici 1880.
6. L. G. Westerink, Das Rätsel des untergründigen Neuplatonismus, in ΦΙΛΟΦΡΟΝΗΜΑ. Von Textktitik bis Humanismusforschung. Festschrift für Martin Sicherl zum 75. Geburtstag, Padeborn-München-Wien-Zürich 1990, pp. 105-123.
7. M. Breithaupt, De Parmenisco grammatico, Berlin 1915.
8. U. v. Wilamowitz, De Rhesi scholiis disputatiuncula Griphiswaldiae 1877 (=Kleine Schriften, I, Berlin 1935); A. Burlando, Reso: i problemi, la scena, Genova 1997.
9. M. Taufer, Jean Dorat editore e interprete di Eschilo, Amsterdam 2005.
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